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Fuori dagli schemi

Creato il 22 febbraio 2012 da Kata
Un post introspettivo. Si vede che la voglia di primavera si fa sentire...
"Fuori dagli schemi". Un'altra espressione italiana che adoro. Non solo l'espressione per sé, ma anche ciò che esprime. Come dirla in inglese? In an unconventional way? Altri propongono non-conformist o thinking outside the box. A mio parere è una di quelle espressioni italianissime che caratterizzano voi italiani. Una di quelle espressioni italiane che mi hanno insegnato qualcosa per ciò che esprimono (come "mettersi in discussione", "consapevolezza" e "serenità", già spiegate qui).
Se ti piace vivere secondo schemi predefiniti e ben funzionanti, allora la Svezia fa per te. Se invece ti piace vivere un po' fuori dagli schemi, in modo spontaneo ed imprevedibile, allora ti sentirai un pesce fuor d'acqua qui. Io non sono una persona fuori dagli schemi. Sono però un'osservatrice e una persona curiosa di conoscere e di scoprire, ma senza il coraggio di essere fuori dagli schemi o di infrangere le regole. Detto così non sembra un difetto, ma io invece l'ho sempre percepito come se lo fosse. In Italia ho imparato a vivere in modo spontaneo se non altro. E per me è stata una grande conquista. L'ho vissuta come una crescita personale. Il problema è che mantenere questa conquista qui in Svezia non è banale.
Mi spiego meglio. Porto un semplice esempio quotidiano: il pranzo. I miei colleghi pranzano sempre, ogni santo giorno, alle ore 12 in punto. Tutti. Siccome la maggioranza non viene all'università tutti i giorni perché vive fuori città (molti a Stoccolma), la composizione del gruppo varia di giorno in giorno, ma l'orario mai. Alle 12 si va, chi c'è c'è. Io generalmente non ci sono. Siccome Gabriele spesso mi raggiunge per pranzo e generalmente non ce la fa ad arrivare per le 12 (ma arriva una ventina minuti dopo), lo aspetto. Altre volte semplicemente non ho ancora fame a mezzogiorno. Altre volte ancora, quando ho troppo da fare, prendo solo un panino e me lo mangio in stanza. I colleghi, quando vanno a pranzo (alle 11.55) a volte si affacciano alla mia porta per chiedermi se vengo anch'io. (Sono persone gentili, su questo non c'è dubbio.) Invito che generalmente declino (ma non sempre, ovviamente) per i motivi di cui sopra. Mai nessuno mi ha proposto di aspettarmi. In un anno e mezzo mai nessuno che mi avesse detto "dai, vi aspetto, vengo anch'io venti minuti più tardi, non ci sono problemi".
Ora... se fossimo costretti a mangiare a quell'ora per via degli orari di apertura al pubblico oppure a causa di macchinari che si fermano solo per quella mezz'ora durante il giorno, capirei. E mi adeguerei. Ma il lavoro universitario è un lavoro dagli orari flessibili, a parte le lezioni, che però non hai tutti i giorni tutto il giorno. E, soprattutto, il lavoro di ricerca è un'attività creativa! Ci vuole ispirazione e concentrazione. Mi chiedo io, ma a nessuno dei miei colleghi capita mai che immerso in un lavoro alza gli occhi da un libro o dal computer e dice "cavolo, è già l'una e io non ho ancora mangiato!". A quanto pare no. Perché all'una alla mensa non c'è più un'anima. (Va bene, qualche anima sì, ma non i miei colleghi.)
E io come faccio? Per ora non mi sono adeguata. Custodisco gelosamente quel pezzo di conquista che la spontaneità ha rappresentato e rappresenta nella mia vita. Al prezzo di sentirmi esclusa dal contesto sociale. Non mi piacciono neanche le pause caffè, le famose fika, che generalmente evito. Preferisco lavorare. Non perché non mi piaccia fare una pausa caffè in generale. Non mi piace come si fa qui. In modo forzato. Quasi obbligatorio. Rimpiango le nostre pause caffè con i colleghi fiorentini, spontanei e sinceri. Le nostre pause pranzo, di regola alle 12.45 per il semplice motivo pragmatico di evitare la folla alla mensa, ma capacissimi di rimandarla anche di un'ora per aspettare qualcuno che deve ancora finire o fare qualcosa. Mi mancano i miei amici fiorentini. E' passato un anno e mezzo e mi mancano come se fossi arrivata qui ieri...
Ho l'impressione che qui in Svezia, a dirla con una canzone degli The Ark, it takes a fool to remain sane. Sarà un caso che l'ha scritto un gruppo svedese?
The Ark - It Takes a Fool to Remain Sane

Every morning I would see her getting off the bus
The picture never drops, it's like a multicoloured snapshot
stuck in my brain
It kept me sane for a couple of years
as it drenched my fears
of becoming like the others
who become unhappy mothers
and fathers of unhappy kids
and why is that?
'Cos they've forgotten how to play
Oh, maybe they're afraid to feel ashamed
to seem strange, to seem insane
to gain weight, to seem gay
I tell you this
That it takes a fool to remain sane
Oh, it takes a fool to remain sane
Oh, it takes a fool to remain sane
Oh, in this world all covered up in shame.
[...] Do, do, do what you wanna do
Don't think twice, do what you have to do
Do, do, do, do, let your heart decide
what you have to do
That's all there is to find
'Cos it takes a fool to remain sane
Oh, it takes a fool to remain sane.

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