Per lei la storia inizia una sera del 1997. La ‘povna sta seguendo la lezione intensiva del Cambridge English Proficiency e, per fare esercizio di conversazione multipla, si chiacchiera tra colleghi. Tra di loro c’è Polly, un’insegnante di matematica (ancora supplente) che studia inglese per suo capriccio. E il discorso cade sulla probabilità che finalmente venga bandito (per la cronaca: succederà da lì a due anni) l’annunciato concorsone. Abituata a essere sottoposta a esami praticamente da sempre, la ‘povna prende la parola, e le domanda (in inglese, ma qui traduce, a beneficio di tutti):
“Allora sarai contenta, finalmente, la possibilità del posto fisso”.
La risposta di Polly la ‘povna ce l’ha ancora, dopo quindici anni, conficcata nella testa:
“Insomma, fino a un certo punto. Perché sai, il concorso è un’arma a doppio taglio. Se lo vinci, ottieni il posto, certo. Ma se invece non lo passi il ruolo lo prende qualcun altro, che magari è più giovane, e si è laureato dopo”.
La ‘povna strabuzza gli occhi. E poi sta zitta, perché non ha voglia di far polemica (del resto, a ribattere sul punto ci pensa Alexis, che, guarda caso, ha studiato a Durmstrang, la Hogwarts delle Scienze Applicate che ha sede sempre nella piccola città). Però se lo tiene per detto. E quando – due anni dopo – inizierà il processo che la porterà a vincere il posto, avrà, tra le tante, un’altra cosa su cui meditare.
Parte da qui, la ‘povna, per riflettere sui recenti scolastici avvenimenti (i test del TFA, per esempio, o la lettera di Silvia Avallone). Ma avrebbe potuto scegliere anche molti altri (e altrettanto sconvolgenti) punti di partenza. Avrebbe potuto, per esempio, ricordare che in Italia le graduatorie della scuola non scadono mai, e che sono ancora in lista (autodefinendosi “vincitori”), in attesa di un ruolo, persone che hanno fatto un concorso negli anni Ottanta, e che poi – avendo avuto un punteggio abilitante, certo, ma non sufficiente a ottenere un posto in un numero di anni congruo – hanno ottenuto di non doversi mai più sottoporre a un concorso, ma solo di mettersi in fila (nella scuola italiana ogni anno di insegnamento dà diritto a 12 punti; ma per il merito ce ne sono a disposizione solo una manciata una tantum – meditare, meditare), e aspettare. Potrebbe ricordare che tutta questa valanga di persone ha invaso le graduatorie degli abilitati Ssis (forzatamente, evidentemente più giovani), che avevano fatto due anni di specializzazione (con abilitazione, ed esame doppio, alla fine e all’ingresso), ai quali era stato detto che questo nuovo sistema avrebbe garantito l’accesso controllato all’insegnamento. E invece, poi – sia per errori di gestione fin dall’inizio (la Siss è stata attivata con due anni di anticipo, facendo arrivare all’abilitazione, contemporaneamente, il primo ciclo e il concorsone), sia perché in Italia (e due!) le graduatorie non scadono – si sono trovati il loro percorso tappato da gente più grande, che aspettava da decenni, e che è stata fatta entrare nelle loro graduatorie a vario titolo, portando in dote tutti i punti di anzianità di insegnamento, e quelli dei master farlocchi, e i corsi di perfezionamento fantasma – e insomma tutto il peso dell’unica moneta che in Italia conta: la capacità di avere anni e anni per aspettare.
Fa rabbrividire, tutto questo (per la ‘povna sì, e molto)? Eppure è la storia del nostro sistema scolastico. Del quale si vedono ogni giorno gli effetti. E la ‘povna, almeno en passant, non può non pensare allo sfacelo che ha visto compiere nella sua scuola da Fancazzista (abilitata concorso 1984, ruolo, da scorrimento graduatorie, nel 2008) o da Santissima Infilzata (che per ora è supplente di istituto, certo, ma in attesa di indeterminato contratto, dal momento che si è piazzata buona ultima – ma la lista ancora vale, e scorre – all’ultimo concorsone, quando nella regione della ‘povna decisero che per Lettere selezionare troppo sarebbe stato ingiusto, e dunque non abilitarono un centinaio di persone in tutto, tra scritti e orali).
Ci si potrebbe chiedere che cosa c’entri tutto questo con le polemiche sulla selezione al TFA che divampano in questi giorni, anche se la ‘povna spera di avere chiarito il punto a suon, se non di argomentazioni, di apologhi. Il punto, secondo lei – un punto da cui non derogherà mai e poi mai, nella vita, fin che campa – è che selezionare serve. E per questo bisogna farlo bene, spesso e con puntiglio. Per questo, di principio (e con le graduatorie inzipite, e inaffondabili, così come ha appena descritto), a lei scegliere pochissimi candidati sembra solo un atto di buon senso (oltre tutto, considerando che il TFA costerà la bellezza di Euro 2500, forse è meglio prima che dopo), che dovrebbe garantire, se non altro, per coloro che si abiliteranno, una speranza di ruolo credibile, e tempi di attesa umani. Si può eccepire (la ‘povna lo fa) sul fatto che i test a risposta multipla non siano il metodo più acconcio, così poco precisi e nozionistici. Però (lei parla per le sue materie, e ci aggiunge la competenza di Papà Razzo su Fisica) – a parte le oramai notissime domande davvero a cazzo (che sono per lei, sia chiaro, inammissibili) – i test non erano per nulla “impossibili”. Con un po’ di preparazione, certo (ma poi, nemmeno troppa); ma è così ingiusto aspettarsela? Il ruolo di Varo e della sconfitta di Teutoburgo – la ‘povna cita alcune tra le domande ‘maledette’ – è uno snodo cruciale nella storia della letteratura romana del primo impero (per tacere del fatto che è stato raccontato da Livio, Svetonio e Tacito). Le Cene del Lasca hanno una certa importanza, se si vuole parlare della tradizione dell’italica novella a partire da Boccaccio; e che il 1958 sia l’anno di pubblicazione del Gattopardo va ricordato non per ragioni nozionistiche, ma perché – da Pasternak a Francesco Orlando, passando per Bassani e Feltrinelli – ha un po’ un ruolo cardine nella cultura italiana.
Perché non è da questo che si valuta la capacità di un insegnante, siamo d’accordo, e però certe cose si sanno, punto e basta. Altrimenti (per chiudere in gloria, con l’ultimo apologo) si rischia di ascoltare il dialogo cui lei ha assistito in treno, muta, la settimana scorsa:
“Ma tu ti sei preparata per il TFA di Matematica?”
“Scherzi, vero? Pensa che pretendono che tu sappia tutto il programma da Liceo Scientifico. Col cavolo che mi metto a studiare”.
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