Entro nello spogliatoio alle 20:15. A quest'ora quasi sempre si starebbe meglio a casa, a cena. Mi vesto svogliatamente. Tante volte invidio chi pratica altre attività dove bastano dei pantaloncini e una maglietta, e invece noi (NDR: per aikido) come se non bastasse dobbiamo anche indossare l' hakama con quelle noiose fettucce da stringere. Troppo stretta blocca in basso la respirazione, troppo larga scende e ci si inciampa.
Arrivo nel dojo e i pensieri vanno alla giornata trascorsa. Oggi ho pensato a questo momento durante la giornata con i migliori propositi: "questa sera ho proprio voglia di praticare, di lasciare indietro la mia vita di ogni giorno, voglio stare concentrato, vorrei che fosse come una preghiera". Ma ora che sono qui i pensieri, come a prendermi in giro, si ripresentano più nitidi e pulsanti che mai, proprio adesso che dovrei disfarmene.
Sto salendo con Luca. Siamo sul Monte Cervia, nell'alto Lazio. Il paese, Collegiove (RI), è quasi disabitato, ma la signora del bar ha magicamente tirato fuori dal forno un incredibile ciambellone fatto in casa.
Ma perchè sono triste?
Per via di questo paese che, come ci raccontano, era una volta florido, di turismo, risorse, agricoltura, perfino vino e ora è lasciato a se stesso?
Un paese dove sono rimasti solo anziani pieni di ricordi, e cani ad attenderli nella cucce?
No, non è questo. Penso alla settimana trascorsa, e ora che ho il tempo per riflettere, mi si ripropongono solo le cose più sgradevoli. Salgo, i miei piedi sono sulla terra ma la testa è in ufficio, a casa con mia moglie, con mia madre, con quei provvedimenti appena approvati, che presto potrei conoscere di persona, che si chiamano Job Act.
La salita ora si fa più decisa, anche perchè scegliamo la via più diretta alla cima. La respirazione è affrettata ma regolare. I pensieri, fattisi più leggeri, fuggiranno via facilmente.
La nostra lezione (NDR: aikido) comincia sempre con la respirazione zen. " Avevo detto che mi sarei impegnato oggi! " mi ripeto. Da poco ho imparato a mettere più attenzione sul respiro, e allora provo a mettercela. I pensieri così se ne vanno, ma se ne sopraggiungono altri: "in effetti non mi accaduto nulla di così grave tale che debba fissarmici così", "non è accaduto proprio nulla di così grave...", "... nulla che mi possa preoccupare tanto...". Li ripeto come in una cantilena, mentre la stanchezza e il sonno si insinuano con prepotenza: "potrei andare già a dormire" penso preoccupato "ma c'è ancora tutto il resto della lezione".
Gli esercizi che seguono mettono in moto respirazione e corpo insieme. Mai in modo violento. Permane il torpore. E si arriva gradatamente all'ultima ora di lezione in cui tutto diventa più dinamico. Ora non c'è spazio per il pensiero ma solo per l'azione. Non ci sono strategie nè tecniche psicologiche tipiche di una competizione. Attacco-difesa, attacco-difesa, tutto qui. Ma nessuna strategia. Chi attacca non lo farà con l'idea di cogliere l'avversario impreparato, chi si difende non dovrà proteggere anche l'amor proprio, non dovrà mirare all'"efficacia", a far male a qualcuno, non dovrà umiliare. L'intento non sarà mai questo. Non c'è più nulla di personale, . e tutto ora sembra acquistare importanza.
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