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FUORI TEMPO: Episodi incendiari assortiti – David Means

Creato il 02 aprile 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

FUORI TEMPO: Episodi incendiari assortiti – David MeansRecensione di Eleonora Rossi

Quando uscì in Italia nel 2003, Episodi incendiari assortiti aveva già permesso al suo autore, lo scrittore David Means, di farsi apprezzare nel suo paese come uno dei più brillanti e promettenti scrittori di short stories americani.
Proprio nella dimensione della narrazione breve eccelle e si trova perfettamente a suo agio Means, tanto che la sua seconda opera (la prima era stata A Quick Kiss of Redemption del 1991), pubblicata in America nel 2000 dalla Context Books, una piccola casa editrice indipendente, gli aveva fatto conquistare il favore del pubblico e soprattutto quello della critica: vinse il Los Angeles Times Book Prize e fu finalista al National Book Critics Circle Award.
La sua scrittura fu paragonata a quella di Raymond Carver e di Alice Murno e fu apprezzato pubblicamente da colleghi come Rick Moody, Aimee Bender e Jonathan Franzen. In particolare Franzen, suo grande amico – che dedicò a Means il capolavoro Le correzioni –, definì allora Assorted Fire Events come «una delle migliori raccolte di racconti uscite negli ultimi dieci anni» e oggi, a distanza di più di un decennio, rispondendo a una domanda del Corriere della Sera sulla sorte del racconto, ha confermato il suo parere, rilanciando: «è un genere difficile che in ogni generazione produce solo pochissimi talenti. Il mio amico David Means, Alice Murno, George Saunders, Lydia Davis».
La raccolta è composta da tredici storie – indipendenti tra loro ma per lo più ambientate in una cittadina dello stato di New York bagnata dalle acque dell’Hudson – e prende il nome dal titolo della penultima di queste, parte di un tutto ma anche metafora dell’opera stessa. Perché Means è come il collezionista degli Episodi incendiari assortiti, anche lui raccoglie quegli attimi di «sfrigolio carico di tensione», eventi parossistici che accadono nella vita dei suoi personaggi: il feroce pestaggio che porta alla morte un uomo d’affari che si trova a «viaggiare» lungo i binari della ferrovia in una campagna suburbana; il coito tormentato di una coppia d’amanti; una bambina che viene inghiottita all’improvviso da una voragine; la surreale apparizione di un barbone durante una festa di matrimonio all’Hilton; il viaggio di un vagabondo in bilico, tra vita e morte, sopra un convoglio merci, ecc.
Ma Means è anche come il Cacciatore di gesti, un altro dei suoi numerosi personaggi, dal quale sembra prendere in prestito la voce per dire: «Mi interessa come la gente vive la vita di tutti i giorni. Sì, insomma, il modo in cui le persone trascorrono il tempo, le cose con cui lo riempiono. Non quelle grandi, i piccoli dettagli: la donna che stende i panni sul filo, alla vecchia maniera, rompendo con la convenzione dell’asciugabiancheria a gas, il movimento fluido delle sue braccia che sollevano le lenzuola, una moletta di legno tra i denti, l’ondeggiare del filo, carico di lenzuola gonfiate dal vento, in risposta al modo in cui la donna si alza e si protende verso di lui quasi in segno di saluto; un ragazzo al distributore di benzina che fa il pieno ai clienti, un piede sulla striscia nera del paraurti in gomma, la gamba che dondola con decisione su e giù mentre lui riempie il serbatoio, la macchina che si alza e si abbassa dolcemente, e intanto i suoi occhi si perdono a fissare un punto sull’orizzonte e lui si pizzica le macchie sotto le maniche della felpa verde. Sono un cacciatore di gesti. Catturo istanti. E me ne prendo cura. […] A me servivano gesti interi, completi e aggraziati e soprattutto carichi di rivelazione, di meravigliosa e nuda rivelazione; un uomo che portava un tavolino di legno in un negozio non faceva al caso mio».
E i protagonisti di questi «gesti carichi di rivelazione» sono in genere individui anonimi ed emarginati, come i senzatetto dell’Interruzione o i vagabondi della Presa; «ombre sospese che aleggiano alla periferia del mondo», ai limiti della realtà e della ragione. Gli uomini e le donne di Means sarebbero destinati al ruolo di banali comparse, a scomparire inghiottiti nel fluire del tempo, se le loro esistenze non venissero intercettate e strappate dall’oblio e cristallizzate nell’immaginario letterario dello scrittore, popolato da anime disagiate e sole. David Means riesce perfettamente a calarsi in profondità, abbandonando la realtà dove (non) vivono, per penetrare nella loro mente dove spesso si rifugiano. Segue i loro pensieri, rintraccia i loro ricordi, scova i sensi di colpa, e poi ne esce fuori quasi controvoglia, quando la realtà preme implacabile, a volte brutale, contro di loro. Lo fa attraverso una prosa densa e sofisticata costruita spesso su periodi lunghi o lunghissimi e che quando è rarefatta, quando sembra essere diluita, lo è per la sua natura cangiante. Una scrittura, che proprio nel passaggio dal mondo esterno e prosaico a quello più intimo si fa più intensa e poetica. Lirica, quasi, per poi ridiventare vivida espressione di un contingente sfiancante: «Al di sopra della sua testa la parata scintillante del cosmo, incorniciata dal tettuccio del vagone merci, era la prova che il treno si stava muovendo, che il tempo e lo spazio scorrevano, ma lui non riusciva a vederla. Non vedeva le stelle passare; il movimento a spirale dell’arco celeste. Si teneva aggrappato e si teneva stretto e intanto il tempo scivolava via. Il tempo non passava. O forse passava. Ripensò a quand’era a casa, a Galva, e nel giardino sul retro giocava a infilarsi sotto le lenzuola matrimoniali stese ad asciugare, che il vento faceva sbocciare e ricadere come vele inamidate dal sole […]. Quell’istante si inceppò e svanì quando lo sforzo sfiancante di mantenere la presa – il divampare del dolore – spazzò via ogni ricordo e lui dovette concentrare l’attenzione sullo sforzo di salvarsi le penne. La paura bruciò via il ricordo, come la lampada di un proiettore che scioglie la pellicola inceppata, perforandola».
Così, sebbene il dolore, la morte e una solitudine annichilente sovrastino queste storie, la scrittura di David Means le rende coinvolgenti e capaci di donare stupore, perché quello che prevale è la sensazione che ogni riga, ogni parola, racchiuda in sé il calore di un talento letterario divampante.
Una raccolta preziosa da leggere o rileggere e all’interno della quale, tra tutti, spiccano i racconti Incidente ferroviario, agosto 1995, Coito, La presa, I travagli della vedova, Il cacciatore di gesti e Episodi incendiari assortiti.

Nota sull’autore
David Means è nato nel 1961 a Kalamazoo nel Michigan e oggi vive a Nyack nello stato di New York.
Ha pubblicato quattro raccolte di racconti e alcune sue short stories sono apparse su riviste come «The New Yorker», «The Paris Review», «Esquire» e «McSweeney’s». In Italia, oltre a Episodi incendiari assortiti (uscita con minimum fax nel 2003), è stata tradotta anche la raccolta – altrettanto bella – Il pesce rosso segreto (Einaudi, 2006).

David Means, Episodi incendiari assortiti
traduzione di Matteo Colombo
minimum fax, 2003
euro 11,50 pp. 268

 


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