"La Seconda Guerra Mondiale sta per finire?
Ma nooo, io non c'ho voglia di tornare a casa da Angelina!"
Fury è una pellicola che parla di Fury, un carro amato del West. O, per essere più precisi, un carro armato che avanza nella West Germany. Cioè, un attimo, mi state dicendo che hanno fatto un film su un carro armato? Ebbene sì. Ormai girano pellicole su qualunque cosa, persino su una bambola comparsa brevemente in un horror, volete che non girino una pellicola su un carro armato? Quindi è così, il grande protagonista di Fury è proprio Fury, il carro armato Fury, ancor più di Brad Pitt che qui, per quanto ritorni su livelli recitativi più decenti rispetto a quelli zombie di World War Z, è ben lontano dalla performance da Oscar che probabilmente era convinto di fare quando ha deciso di girare questo film. Una pellicola ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, già solo per questo si candiderebbe a essere una roba da Academy, visto che all'Academy adorano le pellicole ambientate in quel periodo e i film bellici in generale. Guerre e/o film sugli handicappati e/o malati e/o con attori fighi che diventano brutti e/o basta che ti chiami Meryl Streep e la nomination è garantita.
Detto questo, Fury non è un film da Oscar. Nel senso sia che non è un Capolavoro assoluto di quelli che meritano tutti i premi del mondo, ma anche nel senso più positivo, ovvero che non si tratta di una ruffianata bella e buona preconfezionata apposta per ricevere gli applausi dai parrucconi dell'Academy, che infatti puntualmente lo hanno ignorato. Fury è un film tosto, crudo, con personaggi dalla morale ambigua e con luci ed ombre che illuminano ed oscurano gli americani quanto i nazi. Poche strizzate d'occhio all'Academy e al grande pubblico, ma qualcuna è pur presente. I numerosi riferimenti alla Bibbia ad esempio li ho trovati forzati e del tutto evitabili, per quanto uno dei personaggi presenti all'interno del carro armato sia soprannominato proprio Bible, ed è tra l'altro uno Shia LaBeouf bravino ma qui non del tutto a suo agio. Se Brad Pitt e Shia LaBeouf non mi hanno convinto al 100%, i migliori del cast mi sono parsi allora altri due. Il primo è Jon Bernthal, uno dei pochi attori decenti usciti da quel covo di recitazione zombie che è The Walking Dead, qui alle prese con un nuovo ruolo da cattivone ma non troppo.
"Sono sopravvissuto, ehm più o meno, a Carl di The Walking Dead.
Credete mi facciano paura due nazi da strapazzo?"
Il secondo è il giovane sempre più promettente Logan Lerman. Ai tempi di Percy Jackson era difficile scommettere su questo ragazzo. Un po' come su Daniel Radcliffe ai tempi di Harry Potter. Con la differenza che Radcliffe, per quanto si sforzi, continua a fare pena, mentre Lerman con Noi siamo infinito ha dimostrato di essere uno dei nuovi volti più interessanti tra gli attori bimbiminkia di oggi e qui ce lo conferma alla grande.
"Ragazzo, promettimi una cosa: non sposarti mai.
O, se propri dovessi farlo, non con una come Angelina Jolie!"
Devo ammettere che all'inizio ho fatto una certa fatica a entrare in sintonia con un film come Fury. Davvero troppo bellico per me nella prima parte. Con l'ingresso in scena del giovane pivellino interpretato da Logan Lerman, anche un pivellino un po' meno giovane come me è però riuscito a calarsi dentro la botola di questo carro armato. Un carro armato che gira lento, ci mette un po' a carburare, diciamo un'oretta pesante quanto un macigno, ma quando lo fa offre ottime cose. Il regista David Ayer, che già aveva mostrato numeri interessanti con il precedente poliziesco End of Watch - Tollerenza zero, dà il suo meglio nei momenti action e nelle concitate scene di combattimenti ed esplosioni, che per i miei gusti potevano anche essere accorciate un pochettino. Nonostante la spettacolarità di queste sequenze, il film riesce ad arrivare al cuore, almeno al mio, quando si ferma e quando trova il tempo di avvicinarsi di più ai suoi personaggi. È lì che molla un po' la sua andatura da carro armato che passa sopra a tutti gli orrori della guerra e dimostra di essere un action bellico dotato anche di una bella anima.
Fury è allora sì un film su un carro armato, ma il suo colpo più potente lo sferra raccontandoci a sorpresa di un “coming of age”. Attraverso il volto da ragazzino di Logan Lerman che si trasforma poco a poco in quello di un uomo, viviamo una specie di Noi siamo infinito in versione guerrafondaia. Un passaggio dall'infanzia al mondo dei grandi che avviene nella maniera più dura e spietata immaginabile. Nonostante non manchi qualche momento forzatamente eroico che fa tanto filmone ammeregano (certo che 'sti ammeregani sono proprio fissati con il sacrificarsi e l'eroicizzarsi a tutti i costi) e nonostante una partenza fin troppo belligerante, nella parte centrale la pellicola riesce a smarcarsi dai confini del genere e quando poi nella parte finale ritorna sul campo da battaglia, lo fa con uno spirito diverso, più sentito, più umano. Non sarà un film da Oscar, e prendete quest'affermazione nel senso che più preferite, però Fury è davvero un carro armato. Il suo passaggio può non essere del tutto gradevole, ma difficilmente non lascia traccia.