L'operazione che sto per compiere non so se è perfettamente lecita. Il tema del Carnevale della Chimica di dicembre è, genericamente, Il futuro della chimica. Ora, è noto che il linguaggio di relazione degli umani è soggetto a incoerenze molto estese, che possono esitare in paradossi: quel cane del mio dottore è una tipica frase con un doppio significato. Ne esistono molte. Un altro esempio dell'ambiguità del linguaggio, anche quando lo si esprime in forme rigorose, è dato dall'interpretazione della legge che ne danno i giudici nei tribunali, a volte difforme a seconda dei magistrati.
Non vogliatemene, allora, se intenderò il titolo che , ospite del Carnevale, ha dato a questa edizione in un senso difforme da quello originario. Difforme, ma non troppo: il futuro della scienza può anche intendersi come lo scopo, ultimo, della scienza o, se volete, della conoscenza in generale. Dentro lo scopo della scienza vi è, chiaramente, anche lo scopo della chimica: allo stesso modo, il futuro della chimica può intendersi, dunque, come lo scopo della chimica.
Già Bacone, nel XVI secolo, ipotizzava un ruolo piuttosto preciso per la scienza, che penso sia attuale anche adesso: il raggiungimento e la detenzione del potere. Questo potere può leggersi in due differenti maniere: potere dell'uomo sulla natura oppure potere dell'uomo sull'uomo. Il potere dell'uomo sulla natura è attivo anche oggi, si pensi alla lotta contro le malattie, le calamità naturali, la scarsità di risorse ma, d'altra parte, non è sempre la natura a costituire un pericolo, le stesse scoperte scientifiche e l'uomo stesso possono costituirne uno. E' alla natura che si riferiva Bacone, quando ipotizzava il regno dell'uomo, ma occorre notare che la scienza permette anche il controllo dell'uomo sull'uomo.
La pensa diversamente Karl Popper:
Suggerisco che lo scopo della scienza sia trovare spiegazioni soddisfacenti di tutto ciò che ci colpisce in quanto ha bisogno di spiegazione. [K.R. Popper, Lo scopo della scienza, Armando]
Egli sostiene, infatti, che parlare di scopo della scienza potrebbe essere ingenuo, essendo la scienza un'entità immateriale esercitata da uomini in carne e ossa, gli scienziati, con scopi naturalmente diversi. Per questo motivo potrebbe essere difficile riuscire a stabilirne una sua caratteristica personalità, con una volontà sua propria. Ma, avvicinando l'attività scientifica a quella razionale, e avendo quest'ultima uno scopo, non è difficile arguire che anche la scienza, in sè, potrebbe avere uno scopo, da cui la citazione qui sopra.
Galileo Galilei, in bilico tra rispetto dell'autorità ecclesiastica e rispetto per la verità dei sensi, definiva la scienza e il suo scopo, in una lettera inviata alla Granduchessa di Toscana nel 1615, come qualcosa che non contrasta con le scritture:
Sopra questa ragione parmi primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. [Le scritture non servono alla scienza]
Questo avviene perchè Bibbia e scienza sono entità con diverse destinazioni:
pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura, né meno eccelentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne' sacri detti delle Scritture [Le scritture cit.]
il che, tradotto, significa che la Bibbia non è tenuta a fornire descrizioni esatte della natura, perchè destinata a un pubblico incolto e semplice che non ne trarrebbe nessun beneficio e al quale necessita solo la guida morale, mentre la scienza invece possiede gli strumenti per poter conoscere, attraverso ciò che ricade sotto i sensi o con l'aiuto delle dimostrazioni scientifiche. Se dunque alla Bibbia compete la sfera morale alla scienza compete la spiegazione dei fenomeni naturali. Ne consegue che la scienza non ha finalità di guida nella vita degli uomini ma serve solo a comprendere la realtà, senza altre implicazioni.
Nella storia culturale dell'umanità l'epistemologia ha svolto un ruolo fondamentale. E' l'interrogarsi stesso sulle ragioni del nostro cercare, sulle motivazioni che ci spingono a conoscere i segreti della natura. L'uomo si è sempre posto domande sia sull'oggetto delle ricerche che sullo strumento utilizzato per cercare. Restringendo pesantemente le variabili si può, senza timore di semplificare troppo, ridurre la questione a una dicotomia: la scienza ha uno scopo oppure la scienza non ha uno scopo.
Il tema, come si noterà, non è propriamente nuovo. Legato al concetto di scopo vi è, spesso, un residuo che potremo chiamare di attività moralmente lecita. Avere uno scopo nella vita significa sottostare al giudizio di valore, cosa alla quale invece molti scienziati non vogliono arrivare, sottraendo la scienza da ogni giudizio sulle scoperte che fa. La scienza senza peccato, obbediente solo alla sua natura di instancabile ricercatrice. Ma, con scienza, spesso gli scienziati che fanno queste osservazioni, intendono proprio se stessi: siamo senza colpa se scopriamo armi terribili, è il destino di chi cerca senza badare al bene e al male, sembrano affermare.
Lo scopo è dunque qualcosa, quasi sempre, che deve sottostare al giudizio: ce ne rendiamo perfettamente conto nella nostra vita quotidiana, in tutti gli atti che compiamo e in tutte le finalità che abbiamo. Ma non solo lo scopo è soggetto al giudizio etico: anche i mezzi usati per raggiungerlo sono ugualmente sottoposti al vaglio altrui. Si consideri questo semplice esempio: il mio scopo è arrivare al successo nella mia attività; per farlo posso usare mezzi leciti o mezzi illeciti (secondo il comune sentire). Va da sè che usare i mezzi leciti non mi farà oggetto di critiche specifiche. In questo caso si ha che uno scopo lecito è stato raggiunto attraverso un mezzo lecito.
Ma si consideri ora quest'altro semplice esempio: il mio scopo è dominare il mondo; per farlo posso usare mezzi leciti o mezzi illeciti. Che accade se riesco a dominare il mondo usando mezzi leciti? La maggior parte delle persone criticherà questa conclusione: lo scopo, il dominio del mondo, è moralmente discutibile, e qualsiasi mezzo si possa usare per raggiungerlo non farà cambiare questo giudizio.
Una prima conclusione è che per avere una buona azione, un'azione cioè eticamente ineccepibile, noi dobbiamo avere scopi leciti e usare mezzi leciti. Qualsiasi insieme diverso da questo fornirà sempre un'azione moralmente eccepibile (pur se con gradi diversi: si pensi, per esempio, all'artificiosa richiesta di salvare 10 persone sacrificandone una).
Se la scienza è un mezzo può, come abbiamo visto, servire scopi moralmente eccepibili. Ne consegue che il risultato finale sarebbe negativo. Il mezzo utilizzato non avrebbe colpe, ma la colpa gli si attaccherebbe in quanto servitore di uno scopo illecito. Il mezzo, chiaramente, non è mai perfettamente immune da colpe: si pensi, a titolo di esempio, a tutta la polemica sulla sperimentazione animale. Pur essendo il fine giusto, trovare rimedi alle malattie, il mezzo utilizzato, seppure scientifico, è da molti ampiamente criticato.
Da queste brevi considerazioni sembrerebbe di poter affermare che, in quanto mezzo, strumento per ottenere un fine, la scienza non può considerarsi neutra. Essa contiene, come ogni altra attività umana, il germe dell'immoralità. Ma come scopo? Che succede se consideriamo la scienza come scopo?
Non è facile considerare la scienza come uno scopo: si può considerare il raggiungimento della fama uno scopo, ma questa cosa è meglio definibile come ambizione; oppure si può considerare la ricerca di ricchezza, potere, o la vittoria in un concorso, ma è difficile valutarle come scopo scientifico. In tutti questi casi, la scienza si comporta più come mezzo che come fine. L'unico fenomeno che rimane e che potrebbe essere considerato uno scopo scientifico è la conoscenza in sè. La conoscenza in sè potrebbe essere un perfetto fine della scienza. La scienza è conoscenza e dunque può porsi come scopo.
Ne segue che, come ha fatto a suo tempo Kant, la scienza può diventare fine a se stessa:
Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito da qualcos'altro a titolo equivalente; al contrario, ciò che è superiore a quel prezzo e che non ammette equivalenti, è ciò che ha una dignità [...] Ciò che permette che qualcosa sia un fine a se stesso non ha solo un valore relativo, e cioè un prezzo, ma ha un valore intrinseco, e cioè una dignità [...]
L'umanità [l'essere uomo] è essa stessa una dignità: l'uomo non può essere trattato dall'uomo (da un altro uomo o da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve essere trattato sempre anche come un fine. In ciò appunto consiste la sua dignità (personalità), ed è in tal modo che egli si eleva al di sopra di tutti gli esseri viventi che non sono uomini e possono servirgli da strumenti. [Kant, Fondazione della metafisica dei costumi (1785), su Commentando Kant sulla dignità dell'uomo]
Se la scienza diventa fine e mezzo acquista quella dignità che la rende dotata di un valore -etico- intrinseco che la fa sempre ineccepibile. Purtroppo, però, la scienza non ha vita propria. Essa vive solo attraverso altri strumenti che hanno, a loro volta, scopi diversi. L'intreccio di questi fattori può dare origine a risultati differenti, ma solo quando tutti gli scopi e tutti i mezzi sono leciti avremo un'azione eticamente ineccepibile. Questo sembra poter tagliare la testa al toro, come si dice.
Se la scienza fosse un'entità autonoma, libera dalla schiavitù umana, sarebbe certamente un'entità con un valore intrinseco, la conoscenza, attuata con sistemi leciti, puramente mentali e perciò sempre ineccepibile. Ma non è così.
Per terminare: Il Futuro della chimica, all'interno del Futuro della scienza, contiene minacce e speranze, ma è completamente legato al tipo di società nel quale si trova. La conoscenza può contribuire al miglioramento delle condizioni di vita, sia materiali che spirituali? Ecco un ottimo fine della scienza ma non appena si cerca di tradurlo in qualcosa di reale cominciano i problemi: gli strumenti e gli scopi di questi strumenti non sono sempre in linea con quello iniziale. Potremo anche dire che se con Kant qualcosa diventa fine a se stessa, con l'uomo, qualcosa diventa strumento e fine di se stesso: l'uomo, infatti, è sia strumento che fine, strumento in quanto mezzo perchè la conoscenza si manifesti, e fine perchè strumento capace di avere motivazioni e desideri che un semplice martello, strumento adatto allo scopo di battere un chiodo, non avrebbe. Queste motivazioni e desideri, a loro volta, utilizzano strumenti, che sono ancora una volta quelli della conoscenza.
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