G8: l’impasse sulla Siria

Creato il 03 luglio 2013 da Yleniacitino @yleniacitino

da ragionpolitica.it

Sono 93 mila le persone ad aver perso la vita a causa delle crudeli repressioni perpetrate dal regime di Assad, eppure il suo nome non figura sul documento finale del G8. Anzi, la questione «Assad» ha creato non pochi imbarazzi, facendo riaffiorare tra le righe della candida retorica della diplomazia multilaterale i demoni della guerra fredda.

Il premier britannico Cameron non ha lasciato spazio alle mezze misure, parlando di un uomo «le cui mani si sono macchiate di sangue», un uomo che non ha esitato a fare uso di «armi chimiche». Tuttavia, espressioni crude e sincere come queste vengono sacrificate a favore della prosa patinata e volutamente ambigua degli atti diplomatici, poco dissimulatori di contrasti spesso insanabili fra le Nazioni. Nel comunicato finale, infatti, si menziona la necessità di «porre fine al bagno di sangue in corso» e di prendere misure per arrestare il numero crescente di vittime, senza indicare un presunto colpevole, senza puntare il dito contro nessuno.

L’ostracismo di Putin ha, infatti, bloccato qualsiasi iniziativa volta a rendere più operative le decisioni prese dai grandi della Terra. Il presidente russo si è trincerato dietro al pretesto che non è ancora provato il possesso di armi chimiche da parte di Assad, nell’interesse di mantenere solido il rapporto di alleanza con il regime siriano. Sette, dunque, i punti nodali del «piano» per la Siria:

1. aumentare l’impegno in tema di aiuti umanitari;

2. massimizzare la «pressione diplomatica» per cercare di far sedere le parti al tavolo del compromesso;

3. sostenere gli organismi governativi di transizione;

4. lavorare congiuntamente per liberare la Siria dai terroristi e dagli estremisti;

5. imparare la lezione dell’Iraq e mantenere ferme le istituzioni nazionali;

6. condannare l’uso delle armi chimiche in Siria da parte di «chiunque» e chiedere un’inchiesta delle Nazioni Unite;

7. appoggiare un governo nuovo e non settario.

Nonostante l’appoggio poco convinto di Putin ad un governo di transizione, suscita profonda delusione l’omissione di un cenno alla responsabilità di Bashar al-Assad della drammatica situazione in Siria. Se tutti vedono con favore la prosecuzione del dialogo di pace nella conferenza di Ginevra 2, Mosca rimane troppo esitante rispetto all’eventualità di chiedere ufficialmente ad Assad di rinunciare al proprio regime. Posizione che ha imposto un certo self-restraint al Presidente americano, che non si è sbilanciato troppo, rimanendo sulla difensiva e affermando di non voler prendere parte alla contesa religiosa fra sciiti e sunniti. Nessuna menzione, dunque, dei piani statunitensi e franco-britannici per armare i ribelli.

@yleniacitino


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