Gli errori, le omissioni e le mancanze da parte delle autorità investigative e del decisore nella gestione dei fatti di Genova, sono il prodotto di un intreccio di fattori, politici e sociologici, che hanno avuto come inevitabile conseguenza la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
La presenza al G8 di sigle appartenenti alla sinistra radicale come vettori della protesa e gli episodi di violenza urbana verificatisi nel capoluogo ligure, hanno indotto e inducono infatti, l’ “everyman” italiano, culturalmente e politicamente conservatore (e non moderato), a schierarsi con le forze dell’ordine, confondendo il diritto con la rappresaglia, il legittimo dissenso con la violenza eversiva, il manifestante rispettoso della legge con il teppista. Per lo stesso motivo, una legge contro la tortura sarà di difficile concezione ed applicazione, nel nostro Paese, lasciando così aperto un varco all’abuso.
Una dimostrazione ulteriore dell’invasività dell’elemento politico nel giudizio sulla vicenda genovese, il diverso metro adottato dal cittadino nell’approccio alla violenza dei “Forconi” e rispetto alle prevaricazioni (o presunte tali) della magistratura nei confronti di esponenti del blocco conservatore o della “governance” travolta da Mani Pulite.