Gabriel Ferrater: Curriculum Vitae

Creato il 18 novembre 2010 da Fabry2010

di Antonio Sparzani

«Sono nato a Reus il 20 maggio del ’22. Gli altri fatti della mia vita non sono così facili da descrivere e più difficili da datare. Mi piace il gin con ghiaccio, la pittura di Rembrandt, le caviglie giovani e il silenzio. Detesto le case dove fa freddo e le ideologie.»

Questo l’incipit di una brevissima nota che Gabriel Ferrater i Soler scrive sulla sua vita, e che troviamo alla fine di questa raccolta di suoi versi intitolata Curriculum vitae: Poesie 1960 — 1968, ora pubblicata dall’editrice Metauro, nella bella collana Biblioteca di poesia diretta da Massimo Rizzante; edizione curata, tradotta dal catalano e annotata da Pietro U. Dini. Il volume si conclude con una evocazione di Jaime Salinas.

Voglio parlarvi di questo volume soprattutto facendo parlare lui, il suo autore, con le sue poesie ma anche con le parole che più volte ha scelto per dire della propria vita.

Una vera scoperta, per me, Gabriel Ferrater: mi sembra una delle voci alte della poesia del Novecento, che non riesco ad accostare ad altre voci, a collocare in una qualche corrente. Cominciate a leggere questa:

A TRAVÉS DELS TEMPERAMENTS

Uns pins massa sensibles es revinclen
deixant sentir com se saben patètics
mentre compleixen aquest deure líric
d’expressió del vent, que arriba net.
Les arrels cruixen sordes, i les branques
exulten de dolor, per proclamar
que és greu que bufi l’esperit. Ei vent,
quan surt del bosc, va tot podrit de queixes.

ATI’RAVERSO I TEMPERAMENTI
Alcuni pini troppo sensibili si contorcono
lasciando intendere come si sentano patetici
mentre compiono questo dovere lirico
di esprimere il vento, che pure giunge limpido.
Le radici scricchiolano sorde, e i rami
esultano di dolore per proclamare
che è grave che soffi lo spirito. Il vento,
quando esce dai bosco, è tutto marcio di lamenti.


Allo scoppio della guerra civile, nel 1936, Gabriel ha quattordici anni:

«La gente della mia età, grazie a quel disordine collettivo, a quattordici anni reagiva già disprezzando — e nel mio poema In memoriam lo dico o lo insinuo chiaramente — i propri padri che avevano montato quel merdaio. Ormai non li prendevamo più sul serio. E questo, a un ragazzo, gli toglie un peso dal cuore». «Con il tabacco ottenevi di tutto: dai salami alle donne». «Sì, dai quattordici anni, ho bevuto molto in molte epoche della mia vita. Vengo da una casa e da una terra di vinai. Le domeniche con un gruppo di amici si andava nel magazzino di casa… ci infilavamo in un casale vuoto, chiuso da un tramezzo di cartelloni, e ci scolavamo le bottiglie. A mezzogiorno, lungo il sentiero lì accanto, rientravano le ragazze che venivano dal tennis di Rcus. Noi, a vederle, facevamo un giro, e, ubriachi, in equilibrio sopra il tramezzo, gridavamo loro delle fesserie» (brani tratti da Baltasar Porcel, Intervista a Gabriel Ferrater, «Serra d’Or», giugno 1972: «Serra d’Or» era una rivista che faceva capo all’abbazia di Montserrat).

Dopo un lungo soggiorno in Francia, dove compie gran parte degli studi, alla morte del padre nel 1951 torna con la madre a vivere a Barcellona, abbandona le scienze esatte e si dedica alla linguistica, cominciando a guadagnarsi il pane come traduttore e editor in varie case editrici.

Nel 1956 decide di vendere la propria biblioteca. «Dice di averne le tasche piene della letteratura e che vuol ricavarne dei soldi. La decisione deve essere simbolica, suppongo: vendere i suoi libri non gli risolverà granché… Lo accompagniamo a casa  ‒ Jaime [Salinas] ed io ‒ di notte. Ha bevuto. Ci mostra i libri che gli rimangono; li ha venduti quasi tutti. Gliene compro alcuni. Lo stesso fa Jaime. La scena mi ha depresso» (da Jaime Gil de Biedma, Diario del artista seriamente enfermo, Lumen, Barcelona 1974).

EL DISTRET
Segur que avui hi havia nùvols,
i no he mirat enlaire. Tot el dia
que veig cares i pedres i les soques dels arbres,
i les portes per on surten les cares i tornen a entrar.
Mirava de prop, no m’aixecava de terra.
Ara se m’ha fet fosc, i no he vist els nùvols.
Que demà me’n ricordi. L’altre dia
vaig mirar enlaire, i ennllà de la barana
d’un terrat, una noia que s’havia
rentat el cap, amb una tovallola
damunt les espatlles, s’anava passant,
una vegada i deu i vint, la pinta pels cabells.
Els braços em van semblar branques d’un arbre molt alt.
Eren les quatre de la tarda, i feia vent.

IL DISTRATTO
Certamente oggi c’erano nuvole,
ma non ho guardato in alto. È tutto il giorno
che vedo volti e pietre e tronchi d’albero,
e porte attraverso cui volti entrano ed escono.
Guardavo da vicino, non mi alzavo da terra.
Ora m’è venuto buio e non ho visto le nuvole.
Bisogna che domani me ne ricordi. L’altro giorno
ho guardato in alto, e oltre la ringhiera
di un terrazzo, una ragazza che s’era
lavata la testa, con un asciugamano
sulle spalle, si passava
una, dieci, venti volte, il pettine fra i capelli.
Le sue braccia assomigliavano ai rami di un albero molto alto.
Erano le quattro del pomeriggio, e c’era vento.

Nel 1969 comincia a insegnare Linguistica generale e Critica letteraria all’Università Autonoma di Barcellona: «Ora sto dando un corso di linguistica generale all’Università di Sant Cugat… m’interessa molto la gente giovane, senza distinzione di sesso, e per lo stesso motivo mi piace insegnare all’università: sono, come dirti, come gli uccelli, come la frutta… Noi intellettuali, rispetto alla vita, abbiamo sempre reazioni secondarie. Invece, avere a che fare con gente che ha reazioni primarie, non complicate dalle ideologie, è una cosa sana» (ancora da Porcel 1972).

L’undici  novembre 1969 scrive al fratello Joan: «in generale attraverso un brutto momento, ma ce deuil est sans raison, a parte Marta che si vuol sposare, mentre io francamente non oso, ecc. Però bevo poco e fisicamente sto bene».

Si toglie la vita il 27 aprile 1972 ingerendo del sonnifero.

KORE

Somriu cada vegada
que una altra cosa d’ella
mereix un amor teu.
Somriu quan tu surts d’ella
i es torna a cloure intacta.
Somriu d’una tendresa
que no us suplicarà
(tu, amb el teu món àvid)
que li’n digueu bondat,
i a penes endevines
com s’absorbeix. Encara
<li cal sumar-se. Encara
va naixent el seu cos.

KORE
Sorride ogni volta
che un’altra sua cosa
merita un tuo amore.
Sorride quando tu esci da lei
e lei torna a chiudersi intatta.
Sorride con una tenerezza
che non vi supplicherà
(tu, con il tuo mondo avido)
di chiamarla bontà,
e che tu indovini appena
come si assorbe. Deve ancora
tirare la somma. Sta ancora
nascendo, il suo corpo.

A me la poesia di Ferrater sembra densa e leggera insieme. Viene voglia di leggerla lentamente, di tornare indietro, di provare a smontarla per cercarle i segreti. Credo che in questo consista il suo fascino. Un tipo di bellezza raro.



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