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Gabriele D'Annunzio - Il piacere (1889)

Da Silvy56
Gabriele D'Annunzio - Il piacere (1889)
E pure, quel giorno, parlando a quella creatura, egli era stato sincero come non mai; egli aveva espresso il suo pensiero con ingenuità e candore, come non mai. Perchè, in un soffio, tutto s’era dileguato, tutto era svanito? Perchè non aveva saputo egli nutrire quella fiamma nel suo cuore? Perchè non aveva saputo custodire quella memoria e tenere quella fede? La sua legge era dunque la mutabilità; il suo spirito aveva l’inconsistenza d’un fluido; tutto in lui si trasformava e si difformava, senza tregua; la forza morale gli mancava intieramente; il suo essere morale si componeva di contraddizioni; l’unità, la semplicità, la spontaneità gli sfuggivano; a traverso il tumulto, la voce del dovere non gli giungeva più; la voce [p. 317]del volere veniva soverchiata da quella degli istinti; la conscienza, come un astro senza luce propria, ad ogni tratto si eclissava. Tale era stato sempre; tale sarebbe stato sempre. Perchè, dunque, combattere contro sè medesimo? Cui bono?

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