Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice americana Gabrielle Zevin.
Gabrielle ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo romanzo “La misura della felicità” (pubblicato da Editrice Nord e tradotto da M. Dompè). Questa è la scheda di presentazione del libro…
Dalla tragica morte della moglie, A.J. Fikry è diventato un uomo scontroso e irascibile, insofferente verso gli abitanti della piccola isola dove vive e stufo del suo lavoro di libraio. Disprezza i libri che vende (mentre quelli che non vende gli ricordano quanto il mondo stia cambiando in peggio) e ne ha fin sopra i capelli dei pochi clienti che gli sono rimasti, capaci solo di lamentarsi e di suggerirgli di “abbassare i prezzi”. Una sera, però, tutto cambia: rientrando in libreria, A.J. trova una bambina che gironzola nel reparto dedicato all’infanzia; ha in mano un biglietto, scritto dalla madre: “Questa è Maya. Ha due anni. È molto intelligente ed è eccezionalmente loquace per la sua età. Voglio che diventi una lettrice e che cresca in mezzo ai libri. Io non posso più occuparmi di lei. Sono disperata.” Seppur riluttante (e spiazzando tutti i suoi conoscenti), A.J. decide di adottarla, lasciando così che quella bambina gli sconvolga l’esistenza. Perché Maya è animata da un’insaziabile curiosità e da un’attrazione istintiva per i libri - per il loro odore, per le copertine vivaci, per quell’affascinante mosaico di parole che riempie le pagine - e, grazie a lei, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, trovando infine il coraggio di aprirsi a un nuovo, inatteso amore…
Ringraziamo Gabrielle per averci inviato questo suo contributo.
P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso Falcones, Joe R. Lansdalee Amélie Nothomb, Clara Sánchez.
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GABRIELLE ZEVIN racconta “La misura della felicità“
di Gabrielle Zevin
Gli spunti per scrivere un libro possono arrivare da ogni parte: da notizie di attualità, dalle preoccupazioni del momento, dai libri che sto leggendo, dai film e dalla televisione, dalle persone che incontro per strada e dalle storie che mi raccontano. Ci sono davvero moltissimi fattori che possono stimolare le idee e l’immaginazione, basta essere sempre ricettivi, pronti a vedere, ascoltare e imparare. Nel caso de La misura della felicità è stata una vita fatta di letture e libri a ispirarmi, le tante storie lette, i cambiamenti nel mondo dei libri in quest’epoca di trasformazione, tra carta e e-book.
La scrittura di questo romanzo è scaturita da due domande fondamentali e potenti: le librerie sono importanti nella nostra vita? Le storie che leggiamo possono influenzarci e definirci come individui?
Ed ecco che il protagonista non poteva essere che il libraio A.J. Fikry, un uomo circondato dai libri, quegli stessi libri che lo avevano ormai allontanato dal mondo. Ambientare la storia su un’isola è stata una scelta naturale, un simbolo di questo dilemma in cui il protagonista, all’inizio del romanzo, risulta intellettualmente e fisicamente isolato. La storia racconta il percorso intrapreso da A.J. Fikry per riconnettersi al mondo, alle persone, a se stesso, alla vita. Leggere è spesso un’attività solitaria, ma una delle cose più belle della lettura è la capacità di un libro di avvicinarci alle altre persone.
Così nel cuore e nella vita di A.J. Fikry piano piano trova spazio la piccola Maya, una bambina da lui adottata dopo essere stata abbandonata nella sua libreria. Grazie a lei e al suo innato amore per i libri, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, aprendosi pian piano alla vita e all’amore.
Ho scritto e pubblicato sette libri prima di questo, ma coltivavo dentro di me l’idea per La misura della felicità da oltre 8 anni: mi interessava scrivere un romanzo in cui i personaggi fossero definiti e caratterizzati non tanto da descrizioni fisiche, ma dai loro gusti letterari. La stesura del romanzo vero e proprio mi ha preso quindi non più di sei mesi, ma si tratta di un progetto ideato e rielaborato per anni.
È stato facile per me parlare di libri: sono cresciuta in una famiglia di lettori, partendo dai miei nonni, passando dai miei genitori fino ad arrivare a me. Quando mi domandano come mai sono diventata una scrittrice, rispondo sempre dicendo che, da piccola, andare in libreria con la mia famiglia era un po’ come entrare in chiesa. Tutti i weekend andavamo sempre in libreria e subito dopo al fast food (chissà se il fast food ha condizionato il mio amore per i libri…una specie di riflesso di Pavlov!). Il primo posto in cui mi fu permesso di andare da sola è stato proprio la libreria vicina al supermercato, avevo circa sette anni, e i miei genitori pensarono che alla loro preziosa bambina non sarebbe potuto accadere nulla in un posto così. Con questo spirito ho passato la mia vita tra scaffali e volumi.
Pur frequentando le librerie e amando i libri, prima di essere scrittrice non ho mai dato un peso particolare al ruolo del libraio. Dopo la pubblicazione di La misura della felicità sono stati proprio i librai i primi a sostenermi, a credere nella storia e nel romanzo, a dargli visibilità. Credo che buona parte del successo di questo romanzo sia da attribuire a loro.