Si tratta di una raccolta di dieci racconti, che hanno già visto la luce qualche anno fa con case editrici differenti. Marsilio ha deciso opportunamente di raccoglierli in un unico volume al quale è stato dato il titolo di uno di essi, l’ultimo.
Quel qualcosa che ti attira in una donna è sempre misterioso; ad un certo punto della tua vita la incontri e tutto cambia, ciò che pareva sicuro, acquisito, viene rimesso in discussione. L’attrazione ti esalta, ti confonde e ti domina; ne diventi schiavo. È ciò che succede al protagonista di “Miele”, il primo racconto. Troveremo altre donne nel corso della lettura, ma questa, la prima che incontriamo, non ha nome, significativamente; le rappresenta tutte.
Ci accompagna una scrittura che si articola in brevi paragrafi, i quali si concludono quasi sempre in sospensione. Tra un paragrafo e l’altro si crea come un’attesa ammaliatrice.
I racconti furono scritti tutti prima di “Parenti lontani”, il romanzo che ha fatto conoscere lo scrittore di Potenza.
Uno dei motivi trainanti che li amalgama tra di loro è l’imprevedibilità della vita. La nostra esistenza passa tra entusiasmi, incertezze e pause, prima di trovare la giusta direzione, ed è su questi spazi formativi che Cappelli affonda il bisturi traendone spesso lati esilaranti, carichi di divertimento e di ironia.
Giorgio, il protagonista del secondo racconto, vuol fare il giornalista e si trova implicato in una storia di sesso con l’amante del capo. La sua carriera, perciò, comincia e finisce in un batter d’occhio.
È un periodare minuto, secco, tagliati i sentimenti.
Tutti i racconti sono punti di osservazione, quasi neutri. Quadri di vita messi sotto la luce di un riflettore, destinati a trasformarsi nel passato. Un presente che sfugge, dunque, pur replicandosi all’infinito. Le donne sono uguali, come i fatti della vita, cambiano solo il nome: Linda, Magda, Silvia, la signora Turcati, Miriam, Patti, Elena, Lea, Inge, Lara, Gloria, Daria, Betti, e così via.
Alessandro, in “Tattiche”, fa il barman in una palestra femminile. È piacente e le donne gli cadono ai piedi. Vive storie di sesso che durano lo spazio di un mattino. Sembra una vita movimentata, la sua, ma non lo è; fa parte del tran tran quotidiano.
I protagonisti dei racconti sono un po’ tutti imperlati di dandismo, gli ambienti spesso sciccosi, le donne mai afflitte dai problemi familiari, bensì disponibili all’avventura.
Così è anche Edmondo (Eddi), un pittore che sfiora il successo, nel racconto “Blu”.
È alle donne che Cappelli affida gli spazi sessuali che incastonano i racconti. Esse sono sempre disinibite, focose, direi assatanate. Dalle varie figure femminili che si alternano sulla scena, in realtà sorge sempre una sola donna, simbolo di una femminilità aggressiva e sensuale, esaltata dall’autore.
Direi che la donna è un altro punto di unione di tutti i racconti, il lei motiv forse più pregnante.
Cappelli sa che la sua scrittura deve sorprendere, che la donna assume una sua speciale fascinazione se a tratteggiarla è una scrittura che ne ricalchi la spregiudicatezza, come quando scrive: “sento la musica che viene dalla radio farsi sottile e allora è come se tutto sparisce, mi sento tranquillo, appagato; è come se il pensiero di cambiare vita non l’ho mai pensato.”
L’uso sfacciato dell’indicativo somiglia al gesto improvviso, ma atteso, della donna che nei racconti ti mette la mano sulla patta.
Succede anche nell’ambiente universitario in cui insegna Enrico, il protagonista di “Conditor”. Il sesso è il fine, il tutto. Anche se a volte, come in questo caso, il protagonista ne esce un po’ stanco e deluso. Ma più spesso il sesso si attorciglia addosso e ci fa gioire, allo stesso modo che nella scrittura. Una simbiosi.
A partire da “Toccàti” Cappelli ci dà il meglio di sé, carica la scrittura di quella smorfia, di quel tocco di ironia che lo fa essere uno dei migliori in Italia. Le situazioni che vi si descrivono in “Toccàti” sono molteplici ma tutte filate da una giovanilistica intraprendenza, volta a suggerire un amore per la vita che deve essere sempre, in ogni circostanza, la stella polare di ogni giorno. Vi troviamo lo stesso spirito che incontreremo in “Parenti lontani”, il suo capolavoro.
Rocco (un rappresentante di pentole che scrive canzoni), Guido (un aspirante scrittore), Pietro (specialista in inceneritori) si alternano e si intrecciano sulla scena ed ogni volta strappano una risata. Pur in presenza di una sottile malinconia. Quella della vita che passa. Naturalmente anche in questo racconto, la storia ruota intorno ad una bella ragazza, Gloria, innamorata un po’ di tutti e tre, ma soprattutto di sesso.
Questa struttura fatta di intrecci e di alternanza sulla scena si ripeterà nei due racconti successivi, “Tre mestieri sentimentali” e “Errori” (quest’ultimo assomma le migliori qualità dell’autore). In essi si replica la furbesca ironia di Cappelli.
Ci accorgiamo presto che tutti e tre i racconti si incastrano tra di loro, e il tempo cronologico è messo funambolicamente sottosopra.
Sono tre pezzi di bravura. Ma, in realtà, l’intreccio si estende a tutta la raccolta così che quello che si forma è un mosaico di vita paesana. Lo squarcio di una giovinezza in divenire, piena di eccitazione e di speranza, in cui tutto sembra a portata di mano, sebbene i giorni che passano siano intrisi di vuoto e di delusione (emblematico il racconto “Errori”).
Cappelli non finisce di stupirci e prima di chiudere azzecca un altro dei suoi affondi con “Salvati”, in cui, con gran divertimento e un tocco di horror, disegna un personaggio come Vito, il Cormorano, un rozzo mafioso che parla in dialetto, e che ci strappa più di una risata, ricordandoci l’Abatantuono di “Eccezzziunale… veramente”.
La raccolta prende il titolo dall’ultimo dei racconti, una struggente rievocazione di una tragedia della gioventù.
Terminata la lettura, oltre a Orazio, vengono in mente i versi di Lorenzo de’ Medici: sì, la vita va colta subito, senza farla attendere. Le sue gioie, soprattutto, passano troppo in fretta, e non ritornano.