Grazie all’utilizzo di dati astronomici pubblici raccolti negli archivi del Virtual Observatory (VO), due astronomi russi, Igor Chilingarian e Ivan Zolotukhin del Sternberg Astronomical Institute, presso la Moscow State University, che lavorano attualmente al Center for Astrophysics (CfA) di Harvard e all’Institut de Recherche en Astrophysique et Planétologie, Toulouse, Francia, rispettivamente, hanno identificato alcune galassie che possono essere state espulse dai propri ammassi a seguito dell’interazione gravitazionale con le loro compagne vicine. Secondo gli autori, i risultati di questo studio, pubblicati su Science, potranno far luce sulla struttura e l’evoluzione delle galassie ellittiche compatte.
Gli astronomi ritengono che esistono numerosi pianeti non visibili e isolati che vagano liberamente nello spazio, dispersi nella nostra galassia, non essendo legati gravitazionalmente ad alcuna stella. In più, esistono alcune decine di stelle note che sono state espulse ad alta velocità (di questo ne abbiamo già parlato in un altro articolo) e persino un ammasso stellare che contiene milioni di stelle sfuggito alla gravità della galassia ellittica gigante M87 che si trova nell’ammasso della Vergine. Tutti questi oggetti hanno in comune una sola cosa: essi hanno lasciato i loro sistemi a causa di una serie di perturbazioni gravitazionali.
Fino al 2006, gli scienziati conoscevano solamente 6 casi di galassie ellittiche estremamente compatte, come la galassia M32 satellite della vicina Andromeda, oggetti così piccoli che sembrano dei nuclei ‘denudati’ di galassie ordinarie. Questi sistemi stellari sono stati identificati principalmente in prossimità di galassie giganti presenti nelle regioni centrali di giganteschi ammassi di galassie. Le simulazioni numeriche hanno mostrato che queste galassie ellittiche compatte potrebbero essere i resti di antiche fusioni di galassie che sono rimaste, appunto, ‘denudate’ del loro nucleo centrale a causa delle forti interazioni mareali con una galassia più massiccia. Nel 2009, Chilingarian identificò altri 20 casi rari di questo tipo mentre nel 2013 venne trovata la prima ellittica compatta situata a grande distanza da una galassia massiccia. All’epoca, non fu immediato capire da dove essa proveniva nè se si era formata a seguito di una interazione mareale. Dunque, fu necessario cercare altri oggetti di questo tipo.
In questi tre esempi di interazione gravitazionale a tre corpi viene mostrata la formazione di una galassia ellittica compatta (linea blu) mentre viene ‘scalciata’ via dal proprio ammasso di galassie. Credit: ESA/Hubble. Illustrazione di Andrey Zolotov
Per realizzare la loro ricerca, Chilingarian e Zolotukhin hanno analizzato una grande quantità di dati astronomici di alcune survey, quali la Sloan Digital Sky Survey (SDSS) e la GALaxy Evolution eXplorer (GALEX), che sono rese pubbliche grazie all’iniziativa del Virtual Observatory. Ciò ha permesso ai due autori di identificare 195 nuove galassie ellittiche compatte. La maggior parte di esse, così come ci si aspetta, sono presenti in ammassi o gruppi massicci di galassie e solo 11 sono isolate, disperse nello spazio a distanze dell’ordine di qualche milione di anni luce dagli ammassi più vicini. “Ci siamo chiesti come potevamo spiegare questo fenomeno”, spiega Chilingarian.
Nonostante siano isolate, queste galassie ellittiche compatte mostrano delle proprietà simili a quelle che sono presenti negli ammassi, il che implica che devono avere avuto una origine in comune nel passato. Gli astronomi ritengono che inizialmente una galassia massiva porti via le parti più esterne di una galassia più piccola che cade verso l’ammasso di galassie, lasciandosi dietro solo un nucleo compatto; successivamente, l’interazione gravitazionale di una terza galassia espelle questo nucleo residuo nello spazio. Processi simili avvengono nelle regioni centrali della Via Lattea: ad esempio, Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio della nostra galassia, può scagliar via una delle due stelle che fanno parte di un sistema binario che si è avvicinato molto ed eventualmente ‘risucchiare’ l’altra compagna. “Si tratta dello stesso fenomeno che, però, avviene su scale diverse. In altre parole, come in una sorta di effetto fionda, durante un’interazione a tre corpi quello più leggero vola via dal sistema”, aggiunge Zolotukhin.
Per supportare la loro ipotesi, i ricercatori hanno calcolato quale dovrebbe essere la velocità di fuga delle galassie ellittiche compatte per sfuggire all’attrazione gravitazionale dei propri ammassi. Sappiamo, ad esempio, che per sfuggire all’attrazione gravitazionale terrestre, un razzo deve viaggiare ad una velocità superiore a 11 Km/sec, mentre per lasciare il Sistema Solare dall’orbita terrestre quella velocità diventa superiore a 42 Km/sec. I calcoli dei ricercatori indicano che nel caso di una galassia ellittica compatta la velocità di fuga diventa approssimativamente di 2500 Km/sec. “Queste galassie hanno davanti un futuro solitario, esiliate dai loro ammassi di galassie dove si sono formate e hanno vissuto un tempo”, dice Chilingarian. “Ma questo, forse, li aiuterà a sopravvivere in qualche modo perché altrimenti sarebbero costrette a muoversi a spirale fino ad essere distrutte dagli oggetti più massicci nel corso di circa un miliardo di anni”.
Chilingarian e Zolotukhin sperano ora che la loro scoperta possa far luce sulla struttura e l’evoluzione delle galassie ellittiche compatte poiché essi credono che questi oggetti non contengano materia oscura, quella componente enigmatica dell’Universo che costituisce lo ‘scheletro cosmico’ che rende stabili le varie tipologie di galassie. È la prima volta che una tale scoperta viene ottenuta utilizzando solamente dati pubblici. Si tratta di una nuova era nell’ambito della ricerca astronomica in cui un qualsiasi utente che abbia una connessione internet può utilizzare un archivio accessibile e magari fare una scoperta senza la necessità di viaggiare fisicamente per raggiungere un osservatorio astronomico.
Science: I. Chilingarian & I. Zolotukhin – Isolated compact elliptical galaxies: Stellar systems that ran away
Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica