Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è stato un tempo non lontano nel quale l’Europa ci sanzionava per la condizione in cui versavano le nostre galere: sovraffollamento, trattamento inumano, malattie, suicidi.
Oggi tace. La giustizia ha fatto il suo corso, dirà. Ma poi, ammettiamolo, dopo aver tanto lavorato intorno all’annullamento delle “qualità” degli Stati sovrani, stato sociale, stato manager, stato di diritto, non può non piacerle uno stato punitivo di chi trasgredisce, di chi obietta, e, infine, giustiziere – non sapendo essere giusto – di chi è debole, marginale, ingombrante, scomodo, intrattabile e ingovernabile.
Lo Stato è ridotto a un gradino più sotto del panopticon di Bentham, un po’ meno cioè di un sistema che concede benefici ai suoi cittadini che si «comportano bene» e li tiene “reclusi e isolati gli uni dagli altri, affinché non sia loro possibile formare nessun progetto comune”, anche grazie all’organizzazione delle città, divise in ghetti di lusso o miserabili bidonville, del lavoro sempre più precario che attraverso la mobilità crea monadi impaurite e risentite con i loro simili. Si, ormai non basta ubbidire, non basta adeguarsi, non basta cercare di assomigliare a chi sta più su, ammirarlo, perfino votarlo. Può incepparsi il meccanismo del conformismo, quello della devozione, quello dell’ortodossia, può non essere sufficiente assoggettarsi alle nuove servitù, in realtà sempre le stesse, quelle programmate dai soliti padroni, ormai la macchina punitiva sorprende i diversi, siano malati, vulnerabili, disadattati, vecchi, matti, streghe, omosessuali, e che abbiano un carattere comune: la povertà, quella economica o quella che si crea con il muro innalzato dai normali, che applicano, in tempi di penuria, una infame pedagogia: chi sbaglia deve pagare, gli obesi meritano un sovrapprezzo sugli alimenti grassi, chi fuma e si procura il cancro non ha diritto al servizio sanitario, i vecchi pesano sull’assistenza, sarebbe preferibile si sacrificassero per la collettività, come sostiene madame Lagarde. E alcolisti e tossici, che non si prendono cura di loro stessi, possono essere soppressi senza pietà e senza giustizia, come scrive oggi il Simplicissimus.
Ma forse sbaglio, forse l’Europa parlerà per bocca dei suoi soloni in ermellino, di quel ceto costituito da giuristi e avvocati, dai grandi studi internazionali che predispongono principi, valori e regole del diritto globale su incarico delle multinazionali, in grado di trasformare una mediazione tecnica in una procedura pubblica e in imposizione morale, di quelli che pretendono di incorporare l’arbitrario riconoscimento dei diritti nelle leggi, sì, ma di mercato. E che strada vorrà indicarci se non quella di un’amministrazione della giustizia “manageriale”, come d’altra parte ha auspicato il ministro incaricato del governo Renzi, ispirata a principi del marketing, dove se non l’equità, almeno i privilegi si possano ancora meglio comprare, mantenere, rivendere e somministrare. Così chi non potrà permetterseli sarà condannato oltre che alle sanzioni di legge, alla pena della riprovazione, perché immigrato, tossico, trasgressore, dimenticato in cella, in corsia, rimosso dalla coscienza e dalla memoria.
Tempo fa è uscito un libriccino di Michel Sandel, docente di Filosofia politica ad Harvard che sciorina il prezzario di tutto quello ci si può comprare o non ci si può permettere coi soldi: uccidere un esemplare di una specie rara in una partita di caccia: 150 mila dollari. Affittarsi un utero per portare avanti una gravidanza: 6250 dollari. Trattamento alberghiero in carcere: 82 dollari a notte. Ma la cifra potrebbe salire se andasse in porto, è il caso di dirlo, il progetto di Fincantieri del carcere galleggiante: una piattaforma di 126 metri di lunghezza, 33 di larghezza, 25 di altezza, per 25 mila tonnellate di stazza lorda. Collocato in un porto o in un arsenale e collegato con la terra, potrebbe ospitare 640 detenuti in 320 “cabine”.
Eh si il segreto per vivere bene. O per vivere e basta è avere soldi. Con i quali si compra tutto, per i quali siamo svenduti come vite nude e indifese, quando sulla bilancia è il piatto dell’oro a pesare e comandare.