In un angolino remoto e lontano, situato nella fantasia di un illustratore dilettante, viveva, in mezzo a tanti libri di favole e di fiabe, un topino di nome Galileo.
Galileo, fin da piccino, aveva contratto la passione per la lettura. Era follemente innamorato di tutte quelle storie dove si parla di principi, fate e folletti. Quando era preso da una storia appassionante, si dimenticava persino di mangiare, e con le unghiette delle sue minute zampine sfogliava, una dopo l’altra, tutte le pagine fino a che non arrivava a leggere l’ultima parola.
Per questa sua strana passione, era preso in giro da tutti i suoi fratellini, i quali squittivano ogniqualvolta lo vedeva immerso a decifrare quegli incomprensibili geroglifici che gli umani chiamano lettere.
Bisogna dire che Galileo aveva un aspetto davvero buffo e divertente. Il topino di biblioteca se ne andava in giro con due enormi occhiali cerchiati in oro calati sul suo musetto appuntito, e tra l’orecchio aveva infilato una matita per sottolineare tutte le paroline che non conosceva. Ogni volta che leggeva una fiaba nuova il suo nasino cominciava ad arricciarsi e gli occhi miopi a orbitare come due piccoli satelliti intorno alla luna.
Galileo è un lettore pericoloso, temuto da tutti i favolisti. Se inizia a leggere una favola poco interessante, cominciava rigo dopo rigo ad annoiarsi. La noia si sa provoca dei lunghi e interminabili sbadigli. E così, sbadiglio dopo sbadiglio, il topino comincia ad avvertire un forte languorino sulla punta dello stomaco. Quello è il segnale che ha fame. Ma non avendo nessun pezzetto di formaggio da mettere sotto i dentini, Galileo comincia a rosicchiare le pagine. Rosicchia una pagina, ne rosicchia un’altra, fino a che la fame non gli passa, ma a quel punto la fiaba non c’è più.
Se, invece, la storia gli piace, si dimentica completamente di avere fame, ed è capace di rileggerla anche un centinaio di volte fino a che non la impara a memoria. Per questo motivo tutti gli autori di favole e fiabe temono la critica roditrice di Galileo.