Parlando di Game of Thrones c’è una cosa che farò: non prenderò in considerazione i libri. Primo perché non li ho letti, secondo perché trovo non sia argomento pertinente.
Sì, è vero, è una serie tratta da un noto ciclo fantasy. Ma è anche vero che il gradimento di questo telefilm non deve avere nulla a che fare col gradimento della carta. Sono due campi diversi, come Blade Runner e Gli Androidi sognano le Pecore Elettriche? Due facce della stessa medaglia, diverse, ma simili.
Vietato parlare dei libri quindi.
Ciò che resta è un telefilm solido, anche più osannato di quanto non valga in realtà, probabilmente a causa della sovrabbondanza di mediocrità generale che fa gridare al miracolo grazie a presunte scene scandalo che, in verità, se guardiamo alla storia, quella vera, quella dell’umanità, sono pur sempre una pallida rappresentazione di ciò che il mondo reale intende per crudeltà.
Game of Thrones cos’è, quindi? Un telefilm che si fonda su uno stuolo di fan adoranti, radunatisi intorno alla versione cartacea e immancabilmente scissi tra chi lo trova aderente e chi no, oppure mira a essere intrattenimento anche per neofiti, schiera alla quale io appartengo?
E poi, ancora, è intrattenimento per ragazzi oppure è intrattenimento universale, visti i quarti di nudità e il linguaggio sporco di cui fa sfoggio?
Tanto per cominciare è un prodotto valido, lento e migliorabile. E, trattandosi della HBO, non mi sarei aspettato niente di meno. C’è la Fox, se si vuole edulcorare una realtà già falsa, quale può essere quella fantasy.
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E, prima di tutto, è bene chiarire che non mi va di perdermi in discussioni sul genere. Sono noiose, così come le persone che dei generi fanno barriera invalicabile. La contaminazione è linfa vitale. E qui, in questo telefilm abbiamo contaminazione storica, intrigo politico e battaglie sussurrate, immaginate, ma non godute, che è il suo limite più grande; ma, si sa, le battaglie costano. E un telefilm, chissà perché, ha ritmi e costi ben precisi. Ma questo, ahimé, è un altro discorso ancora, quello sul marketing; ed è anche, allo stesso tempo, la ragione per la quale la carta, a meno di non essere scritta da un analfabeta, vince sempre sui telefilm. Sulla carta, un milione di uomini che si danno battaglia non costano nulla, eccetto il tempo che si impiega a immaginarli e a descriverli; portarli sullo schermo, persino oggi che la CGI “apre tutte le porte”, ha un costo. I soldi sono l’unico limite alla riuscita di qualunque trasposizione artistica.
Game of Thrones è un buon telefilm? Come ho detto, parte da una posizione privilegiata, la HBO, e questo già è sufficiente per collocarlo nella nicchia dei prodotti superiori, o per lo meno portati avanti con intenzioni un pochino più serie rispetto a chi serve minestra riscaldata, per non avere fastidi di sorta e per avere soldi facili.
Arricchito da un ottimo cast, in parte spaesato dalla novità della prima stagione, com’è giusto che sia, in parte già calato nei panni dei cospiratori, o partecipanti al Gioco dei Troni.
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Sean Bean (Eddard Stark) veste bene l’armatura e maneggia la spada. È un piacere vederlo. Peccato gli si conceda parti già finite prima ancora di iniziare. Lui è una presenza che rilassa e si fa guardare, così come la sua controparte, malvagia per definizione, ma che io trovo cinica, realista e opportunista, Nikolaj Coster-Waldau (Jaime Lannister). Per il resto, un sovrano che parla sporco, in spregio alla sua regalità, mito creato ad arte dai bardi, cavalieri violenti e puttane di corte non sono una novità straordinaria, ma una corretta rappresentazione, non tanto del libro, quanto della vita di corte, la vera corte, fatta di nobili e guerrieri, di dame che erano tali non già per il sangue, ma per le vesti ricamate che indossavano, e per aver letto qualche libro in più. Quando ci si spogliava, in camera da letto, si era tutti uguali.
L’incesto, questo tema scabroso, in realtà era tanto comune nell’antica Roma, tra i potenti, da suscitare quale reazione violenta uno scappellotto, più che la perdita del trono. E giustamente così è trattato da chi, all’interno della finzione storica, l’ha commesso, come un vizio tra nobili e poco più. Ma capisco che certi temi possano ancora far strabuzzare gli occhi e lasciare stupefatti.
Niente di ché, insomma. Ben più scioccante ai suoi contemporanei doveva essere Costantino V che, defecato in un fonte battesimale, fu chiamato Copronimo, dal nome di sterco. E questo signore divenne imperatore, mica cazzi… e Basilio II, uccisore di bulgari, che organizzava spedizioni di soldati accecati in dono al Re dei Bulgari suo nemico, per fargli capire che comandava lui. O ancora il cristianissimo Carlo Magno, capace di ordinare, in tempi non sospetti, la decapitazione di cinquemila uomini suoi prigionieri, in un solo giorno…
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La realtà, quindi, è ancora ben lontana dalla fantasia. O viceversa. Ma capisco anche che occorra, a un certo punto, vendere e guadagnare, e in qualche modo divertire. Game of Thrones diverte, nonostante l’espressione stanca e scazzata di Lena Headey (Cersei Lannister) cui non giova il biondo, o l’avere a fianco quel bamboccio di suo figlio, futuro Re, questo sì odioso, ma fin troppo, tale da incarnare il cliché del moccioso cattivo e viziato. E in generale, la storia è già scritta, non riserva grandi sorprese né colpi di scena. Qualunque svolta è perfettamente deducibile e attesa. E ciò nonostante, si lascia guardare. Personaggi preferiti sono Arya Stark (Maisie Williams) nel ruolo della ragazzina ribelle dal futuro incerto, allergica alle regole e alle formalità (stereotipo anche lei, ma con gusto), Tyrion Lannister, intrigante e manipolatore; e il fatto che si porti a letto una prostituta, che è anche una ex-pornostar (Sibel Kekilli) fa di lui il mio eroe.
Il resto, un mondo sull’orlo in attesa dell’inverno e minacciato da qualcosa che giace al di là di una barriera, be’, non è il massimo della vita fantasy, né di preciso una ventata di originalità, anche se apprezzabile è la totale assenza di magia sciocca e di razze e sottorazze la cui stessa esistenza è cagione di mancata sospensione dell’incredulità. Non tanto per la diversità, quanto per l’illogicità alla base della loro civiltà.
Niente di tutto questo, per fortuna, in Game of Thrones, a parte i draghi. Creature irrinunciabili che avrebbero più fascino se, come nel nostro mondo, fossero relegate al mito. Lontane nel tempo e, in fin dei conti, impossibili.
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