Ganimede, nell’occhio della sonda Galileo.
Quando ai primi del Settecento Simon Marius scelse il nome di Ganimede per il maggiore dei satelliti in orbita attorno al pianeta Giove certo intendeva sancire un legame fra due corpi celesti attingendo dal Mito, dove il giovane di grande bellezza viene rapito da Zeus per servire come coppiere alla mensa degli dei. Difficile immaginare, allora, che come un vero adolescente il satellite gioviano fosse percorso da scosse e terremoti per nulla differenti da quelli che geofisici e vulcanologi registrano oggi, sulla Terra.
I processi che hanno modellato monti, creste e avvallamenti sulla superficie della luna ghiacciata di Giove Ganimede sarebbero simili ai movimenti tettonici che possiamo registrare sul nostro pianeta. È quanto sostiene il team di ricerca guidato dal Southwest Research Institute (SwRI), che è arrivato a questa conclusione verificando l’azione della tettonica a placche su una serie di modelli fisici in argilla. Lo studio è stato pubblicato su Geophysical Research Letters.
I modelli geodinamici, fondamentali in laboratorio, aiutano a riprodurre complesse strutture geologiche e a simularne le sequenze evolutive, in modo che si possa studiarne il comportamento. Il team di ricercatori del SwRI – che comprende anche scienziati del Wheaton College, del NuStar Energy LP e del Jet Propulsion Laboratory NASA – ha potuto così riprodurre in modello le complesse caratteristiche che si possono dedurre dalle immagini disponibili dell’orografia di Ganimede. I plastici, che ricordano vagamente una “torta di creta bagnata”, come ammettono gli stessi ricercatori, mostrano la risposta alle sollecitazioni da cracking cui potrebbe essere stata (e venire tutt’ora) sottoposta la litosfera della luna ghiacciata.
L’esperienza di laboratorio suggerisce che il solido guscio esterno di Ganimede, con il suo assetto orografico di creste e avvallamenti, sia il risultato di un lento ‘stiramento’ (stretching) della superficie. “I modelli presentano una forte somiglianza con quanto osserviamo su Ganimede”, spiega Danielle Wyrick, co-autrice dello studio e ricercatrice del SwRI Space Science and Engineering Division. “La crosta si rompe in blocchi, ed è questo il meccanismo principale che spiega l’attuale configurazione superficiale della luna di Giove”.
I ricercatori del SwRI hanno utilizzato modelli analogici già in passato per esaminare il processo di formazione delle catene montuose marziane, e come il magma nel sottosuolo marziano deformi la superficie del Pianeta Rosso.
“Il modello analogico ci permette di simulare la formazione di complesse strutture geologiche tridimensionali su Ganimede, senza bisogno di andare su Ganimede”, sintetizza David Ferrill, direttore dell’ Earth, Material and Planetary Sciences Department della SwRI Geosciences and Engineering Division e fra gli autori del paper. Riprodurre nel dettaglio un processo geologico, come la fagliazione, significa poter verificare ipotesi di evoluzione del paesaggio su questo e altri corpi planetari. La storia del Sistema Solare si nasconde forse in un piccolo blocco di argilla?
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga