Non c’è omicidio senza colpevole, indagine senza sospettato, e processo senza sentenza. L’assoluzione di Alberto stasi, dall’accusa di aver ucciso nel 2007 quella che all’epoca era la sua fidanzata, Chiara Poggi, non è altro che il solito rito malevolo, che da anni si ripete in Italia. Il rito che obbliga un presunto colpevole a sentirsi per forza colpevole davanti al popolo, una gogna psicologica che vale per chiunque, volente o nolente, abbia la sfortuna di ritrovarsi in un luogo, una casa, un parcheggio, un parco, e perfino in casa sua, in cui dovrebbe perché un omicidio non nasce dal nullasentirsi al sicuro. Certo, tutto questo, viene fatto per dare giustizia alle povere vittime, perché un omicidio non nasce dal nulla. Un omicidio nasce perché qualcuno ha deciso di compierlo, e sebbene adesso non siamo ancora ai tempi di Minority Report, il film dove un poliziotto del futuro istituisce un’unità che arresti i potenziali colpevoli prima che commettano un reato, per poi scoprire, che sarà lui il prossimo potenziale o criminale. Siamo arrivati a questo punto? Davvero il nostro paese, ha smarrito il poco senso della giustizia, che in sessant’anni, era riuscito almeno per un delitto, a emettere sentenze rigorose, come nel caso dell’omicidio di Marta Russo, la studentessa romana, uccisa da un colpo di pistola all’università “la sapienza” sparato da Giovanni Scattone, reo confesso del delitto? Se è così, potremmo incominciare a domandarci: “c’è ancora giustizia in questo paese? Alberto Stasi, fidanzato della povera Chiara, è stato tenuto sotto pressione dagli inquirenti, nella speranza, che cadesse in contraddizione, che potesse rivelare elementi utili alle indagini, che portassero driti al colpevole. Invece, Alberto, non ha aperto bocca, è andato nella chiesa di Garlasco, e abbracciando la mamma di Chiara, ha versato lacrime senza mai scomporsi. Un bravo attore, o è solo uno dei tanti presunti colpevoli che bisogna per forza schiacciare per contenti quelli che dalla parola “giustizia” cercano di ricavare inutili teoremi per poi accusare facilmente, un indiziato? Chi ha ucciso Chiara Poggi, ha sfruttato una serie di variabili, che avrebbero (come poi è avvenuto) potuto portare in modo semplicisto, alla pista sbagliata, per accusare una delle persone a lei più vicine, che a quanto pare, su sua stessa ammissione, quella mattina, stava preparando la tesi a casa sua. Ora, ragioniamo: se, effettivamente Alberto fosse stato il colpevole dell’omicidio di Chiara, per quale motivo, non ha mai cercato sin dall’inizio, di difendersi apertamente, cercando di puntare il dito contro qualcuno, per assicurarsi un alibi? Lo abbiamo visto in tutti i casi di cronaca nera, degli ultimi dieci anni, spesso il colpevole appare in prima persona, per farsi pubblicità appena vede una telecamera, sfodera il suo narcisismo, e cerca di mostrarsi dispiaciuto. Uno degli ultimi casi, è azvvenuto proprio nella capitale, e riguardava Angelo Stazzi, colui che a Roma e in altre cliniche del Lazio, ha ucciso con dose massiccie di insulina, decine di anziani. Lì stranamente, la gente ha mormorato poco (evidentemente perché il sospetto anche qui, va di moda e si usa solo quando fa comodo) solo quando il presunto colpevole appare come un’ombra defilata nella nostra mente, allora diventa imperativo accusare. Alberto Stasi, Amanda KNox, e Raffaele Solleccito, per un reato che forse non hanno commesso. Tornando al delitto, Chiara merita giustizia. Un delitto così efferato non può rimanere irrisolto. Si deve arrivare presto alla verità dei fatti e riconoscere che nella giustizia italiana, c’è qualcosa che non funziona, c’è un sistema giudiziario lento e burocratizzato, che si sveglia sempre tardi, e che per una sciochezza come la condanna di un delitto, non è capace di fare un’accurata selezione degli elementi, né di produrre professionisti che sappiano realmente risolvere i casi. Al loro posto, troviamo degli imbrattaprove (nel caso di Chiara, non è stato così solo per un caso del destino). Da ora in poi, sarebbe meglio, che oltre a cambiare le regole anche per i media lo si faccia anche con la polizia. Che facciano dei corsi per formare al meglio il personale della polizia scientifica, spiegandogli dove devono o non devono, mettere le mani, come devono prendere questa o quella prova e tentare di riuscire a chiudere un processo in tempi ragionevoli. Altrimenti c’è sempre un’opzione migliore: L’espatrio.
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