Garth Ennis (cap. 4.3) – Preacher: stili e influenze

Creato il 14 dicembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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  • Garth Ennis (cap. 4.3) – Preacher: stili e influenze

Stile e influenze

La trama e i personaggi di Preacher si possono definire senza dubbio il punto di forza della serie, ma il disinteresse di Ennis per la forma è soltanto apparente.

Un merito della sceneggiatura è proprio quello di saper narrare una storia complicata come un romanzo gotico con la stessa linearità e immediatezza di un western classico.
A prima vista sembra infatti di trovarsi dinanzi a un fumetto ricco di scene d’azione e di violenza, ma in realtà queste sono nettamente inferiori ai dialoghi e alle scene che evidenziano il carattere e le dinamiche tra personaggi.

In Preacher è l’azione interiore ad avere la meglio su quella esteriore. L’abilità di Ennis, coadiuvato dal tratto semplice e incisivo di Dillon, sta proprio nel movimentare le scene dialogiche con un sapiente uso delle inquadrature e del ritmo, mantenendo alta la tensione della storia e lavorando molto sull’effetto sorpresa. I momenti action compaiono infatti all’improvviso, spesso interrompono tavole e tavole di battute tra personaggi, spaesando il lettore e apparendo ancora più brutali e devastanti. È uno stratagemma narrativo molto simile a quello adottato da Quentin Tarantino fin dai tempi de Le iene e poi perfezionato nel recente Bastardi senza gloria.

Dal n. 13, p. 20. © dc Comics/Vertigo. Trad. it., dal n. 2 Magic Press: Jesse: “Si può dire molto su una persona da chi dei due preferisce, mi segui [tra Stanlio e Ollio e Charlie Chaplin, N.d.C.]? Se sceglie Stanlio e Ollio, gli piacciono una buona trama e buoni personaggi, e non vuole che la storia affoghi nella forma. È probabilmente un tipo tosto. / Chi preferisce Chaplin…
Cassidy: “Probabilmente stupra le pecore, sai, potresti avere ragione…
Jesse: “Fidati Cass, è così / Un uomo a cui non piacciono Stanlio e Ollio non vale un cazzo”.

Nel campo della sceneggiatura, si tende a distinguere tra storie d’azione (plot-driven stories) e storie di personaggi (character-driven stories). Le prime, in cui l’intreccio prevale sulla caratterizzazione psicologica, si concentrano non tanto sui dilemmi intellettuali o morali dell’eroe, ma sulle peripezie che deve compiere per ottenere un determinato risultato. Nelle sceneggiature basate sui personaggi, invece, al centro del plot troviamo l’elemento drammatico, costituito dall’evoluzione del protagonista, un modellamento del suo io in un itinerario che lo porterà a un cambiamento. 

Preacher è una storia sui generis perché si presenta in apparenza come un’avventura d’azione, ma è narrata secondo gli stilemi di una storia di personaggi. Il fatto stesso che l’obiettivo portante dell’eroe-Jesse sia quello di trovare Dio e leggere nei pensieri di Genesis, l’entità divina intrappolata nella sua mente, presenta la vicenda su due piani interpretativi, uno esterno-avventuroso, un altro interno-intimistico.

Si potrebbe obiettare che nelle migliori storie d’azione i personaggi devono comunque essere costruiti in modo credibile e coinvolgente in modo da provocare empatia nel lettore, ma in Preacher avviene qualcosa di più. Durante la narrazione, infatti, non si può mai dire se a Ennis interessi di più l’evoluzione dei personaggi o lo svolgimento della vicenda, che spesso viene a essi subordinata. Al riguardo, è da notare l’uso che lo sceneggiatore fa della splash page. Nei fumetti classici americani la “vignettona” unica contiene spesso totali o campi lunghi, al massimo figure intere, con l’obiettivo di raffigurare spettacolari momenti action, come, per esempio, rocamboleschi combattimenti tra supereroi. Nella splash page ennisiana, invece, prevalgono i primi o i primissimi piani, a sottolineare il vissuto psicologico. E anche quando compare un totale, come nell’ultima tavola del settimo numero della serie originale, l’intento è il medesimo.

Dal n. 7, p. 24. © dc Comics/Vertigo. Trad. it. Dal n.1 Magic Press: “Ci sono dieci milioni di storie nella città nuda, non tutte hanno una morale”.

L’uso che Ennis fa di questa tecnica narrativa lo avvicina a Frank Miller e a quello che diventerà l’approccio della collana Vertigo. Non a caso, infatti, ciò che colpisce più del finale della saga non sono tanto le vicende risolutive dell’azione, ma è il cambiamento per eccellenza, ovvero la trasformazione di Cassidy da mostro a essere umano, con le conseguenti implicazioni psicologiche.

Ma Preacher non sarebbe Preacher senza Elmore Leonard o Cormac McCarthy.

Leonard, scrittore di noir e crime-story, ha ispirato sia Garth Ennis che Tarantino. L’autore del romanzo di Jackie Brown è noto per lo humour feroce, le situazioni sgangherate ed esplosive e soprattutto i dialoghi incisivi e perfetti, che sono una peculiarità della serie ennisiana. Curioso, poi, notare come, a volte, le influenze possano essere mutue: Hot Kid, scritto da Leonard nel 2005, è un western/noir incentrato su uno sceriffo in lotta contro criminali e Ku Klux Klan che rimanda all’episodio preacheriano di Salvation.

Importante per la genesi di Preacher è anche la scrittura sintetica ed evocativa, quasi polverosa, di Cormac McCarthy, l’autore di Non è un paese per vecchi, che mescola momenti duri e caustici a espressioni di rara poesia e lirismo.

Il gusto per la violenza esagerata e per i criminali descritti nella loro folle quotidianità è senza dubbio legato a Tarantino; lo sceneggiatore irlandese, infatti, gli dedica un omaggio inserendo nel fumetto la locandina di Pulp Fiction.

Sempre restando in ambito cinematografico, il riferimento a quella sarabanda pulp che è Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez (tra l’altro sceneggiato e interpretato dallo stesso Tarantino) è d’obbligo, ma, essendo la pellicola datata 1996, viene da pensare più a un mood generale di reciproche contaminazioni e influssi.

Per quanto riguarda il western, si è già detto molto sulla predilezione di Ennis per John Ford e sul suo culto per l’archetipo del cowboy tutto d’un pezzo come John Wayne.

L’apporto di Sergio Leone è comunque fondamentale, non solo a livello contenutistico con la già citata somiglianza tra il cinico e avventuriero Eastwood e il Santo degli Assassini. Il regista italiano fornisce a Ennis soprattutto una lezione formale, evidente nel taglio e nel montaggio delle inquadrature, sia negli intensi primi piani che, soprattutto, nelle sequenze d’azione più prettamente western, e anche nei dialoghi, in cui Leone era maestro.

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