Garth Ennis – La run su Hellblazer (cap. 1.7): La fiamma della dannazione

Creato il 23 agosto 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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Stiamo per arrivare al momento del confronto finale, un processo innescato nel momento stesso in cui Garth Ennis aveva cominciato a scrivere la testata, pianificato e portato avanti con cura anche quando al lettore erano proposte digressioni e divagazioni.

Ennis, sentendo l’avvicinarsi del climax, vuole prendersi, prima dello show down, una vacanza: e quale Paese meglio degli USA per rilassarsi un po’ e tornare ben temprati e pronti per l’ultima fatica?
Ecco quindi che Constantine vola a New York per il ciclo più lisergico e simbolista dell’intera gestione, un arco di storie che sembrano a se stanti, avulse dal resto della chemioterapia ennisiana: diminuiscono infatti i riferimenti alla religione cristiana in favore di richiami diversificati sia al voodoo che all’immaginario americano in genere.

La grana della narrazione dell’irlandese diventa qui più grossolana e prona a un certo tipo di retorica assai usurata (i nativi americani…), ma l’ottimo lavoro di uno Steve Dillon scatenato e qui più libero che in tutto il resto della serie – nonché certe scelte azzeccate a livello di caratterizzazione psicologica e dialoghi, mantengono comunque ben alto il livello qualitativo del tutto, e l’arrivo, nel finale, di Abe “Satana” Lincoln rinsalda la narrazione riportandoci nel cuore del confronto.
Ottima (e in netto anticipo rispetto a tante altre) la critica alla figura di Kennedy, zombie “senza cervello” che invece di grugnire parla con il linguaggio morto delle veline e dei comunicati stampa.
L’ultima vignetta, che lo ritrae mentre si allontana, privo di braccia, incapace di ricordarsi le strofe della canzone, è da antologia del fumetto moderno.

Illustrazione di Steve Dillon dal n. 73, p. 23. © dc Comics/Vertigo

L’affiatamento fra sceneggiatore e disegnatore è ormai profondo, le tavole si risolvono spesso attraverso un’ottima alternanza di rigide gabbie verticali 3×2 o 4×2, cui seguono pagine più libere con vignette grandi (quando non splash page), e Dillon sperimenta calcando il piede sull’acceleratore delle trovate che, in un tipo di storia così libero, diventano talvolta geniali.
Non si lesina sui colpi bassi, sia a livello verbale che grafico, in quello che è uno degli archi narrativi più feroci dell’intera serie, sebbene al lettore europeo, magari più smaliziato della media statunitense, tale ferocia possa sembrare talvolta un po’ bollita e abusata.

Prima di tornare in Inghilterra, c’è spazio anche per un breve e imprevisto stop in Irlanda, che permette a Constantine di saldare altri debiti, questa volta con Brendan che, Virgilio-fantasma, lo guida attraverso una Dublino notturna sulla quale è proiettato anche un flashback riguardante tragici fatti occorsi ai due e a qualche loro amico tempo prima.
Episodio dalla costruzione più complessa del solito, oltre a dar modo a Ennis di omaggiare la sua Irlanda senza cadere in isterismi di varia natura, offre anche all’autore la giusta opportunità per rimettere in scena alcuni dei comprimari della serie in vista del ciclo conclusivo.

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