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C'è un gran fermento nel mondo del rock. Un' ondata di ragazzi, forti delle esperienze musicali dei decenni trascorsi, sono pronti a tagliare i ponti con il passato pubblicando lavori, finalmente possiamo dirlo, forti della voglia, dell'esigenza di raccontare il tempo che gli appartiene. Rimane l'indelebile segno del blues, rimane l'ambizione nello scrivere testi di dylaniana audacia, rimane la potenza spirituale dei cori gospel e la rabbia viscerale del punk ma, paradossalmente, niente è più come prima. "American Slang" dei Gaslight Anthem ne è un esempio; nulla è cambiato ma tutto suona diversamente. Brian Fallon, penna e voce del gruppo, attinge a piene mani da quella fonte inesauribile di idee che è la tradizione musicale passata e crea qualcosa di nuovo e forte; partecipa, lui così come tanti altri orfani del punk, a questo movimento cha nasce dai garage e degli scantinati (sull'onda di uno dei pochi, veri, stereotipi del rock) per arrivare, lentamente e con i necessari sacrifici, a noi ragazzi che, in fondo, siamo orfani di una cultura generazionale scemata nella violenza del grunge e da allora mai più rinata. Nasce così un album unico, forte del suo saper essere uguale solo a sè stesso.
Il primo brano, nonchè title track, è un rock levigato, dai contorni smussati, che mette in primo piano l'ottimo lavoro Alex Rosamilia che si dimostra essere un chitarrista onesto nel suo saper apparire al momento giusto, esentando i brani dal formato classico ritornello - assolo - ritornello e creando così una continuità strumentale sobria e di buona qualità.
"Stay Lucky" è un omaggio ai fan di vecchia data; riprende gli echi e la carica di "The 59 Sound", il loro lavoro precedente, mettendo in luce il songwriting di Fallon, sempre ricco di citazionismi nascosti e di significato. Un' esortazione ad approfittare dei momenti più fortunati della nostra vita, di approfittare della forza di essere giovani. Un'ingenuità voluta e sentita; il consiglio di un amico. Scrivere i brani di "American Slang", ha dichiarato Brian in un'intervista, è stato come "vedere e sentire la polvere che ho sollevato nel corso degli anni" percorrendo la sua strada, la sua vita segnata da cicatrici ed amori mai abbandonati.
"Bring it on", "Diamond Church Street Choir" e "Queen of Lower Chelsea" giocano sulla frequenza di un sound inedito per il gruppo che si è fatto le ossa a botte di Clash sound e dischi blues. Tre brani ottimi, tre prestazioni vocali che vanno premiate per il sincero coinvolgimento emotivo che sono in grado di regalare. Pure vibrazioni soul.
"Orphans" e "Boxer" sono tra gli estratti migliori dell' intera carriera del gruppo. Sulle solide e fedeli ritmiche di Benny Horowitz sono costruiti due tra i migliori esempi del songwriting di Fallon che, mai come in questi casi, rivela il suo aspetto più crudo, nel caso del primo brano, e quello apparentemente più spensierato e dinamico, nel secondo. "We were orphans before we were ever the sons of regret"; un duro racconto in sole due righe.
"Old haunts" l' strizza l'occhio all' EP "Senor and Queen" rivisitando il tema della voglia di redimersi più volte affrontata da Brian nel corso della sua esperienza con i Gaslight Anthem.
"The Spirit of Jazz" è il singolo che ogni band vorrebbe essere in grado di ideare. Parliamo in questo caso di un rock particolarmente melodico che è stato però più volte spogliato della sua apparente superficialità durante le ultime session acustiche ed i set live del gruppo per mettere in mostra uno dei momenti più solidi, soprattutto dal punto di vista del testo, dell' intero album.
Il duro compito di chiudere le danze spetta a "We did it when we were young". Appassionata, fuggente, una fotografia di un momento irripetibile ma ormai passato. Un capolavoro di sottile malinconia che si ritaglia un suo posto proprio negli ultimi, splendidi attimi dell' album.
Resta però un lieve senso di amarezza a fine ascolto per i "soli" trenta minuti di durata di questo lavoro che, senza dubbio, fa parte della storia musicale più recente del nostro tempo.
Un rinnovato senso di fiducia nel decennio musicale che stiamo per affrontare non ce lo toglie nessuno; oggi ci sono tanti artisti che aspettano solo di essere ascoltati. Non perdiamo tempo, allora.
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