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Gattaca di Andrew Niccol. Non esiste un gene per il destino
Creato il 20 novembre 2011 da SpaceoddityGattaca di Andrew Niccol è senz'altro un film che non fa nulla per nascondere quanto un mondo del genere sia problematico. Intanto è palese che il progetto eugenetico è più imposto da una società opportunista, razzista e concorrenziale che dalla volontà di offrire nuove energie, bellezza e possibilità al futuro che non ci appartiene. Paradossalmente, una società che ti esibisce le opzioni di accesso a ogni angolo, non solo non consente, ma addirittura preclude la possibilità di determinarsi e lavorare per un corretto inserimento e una piena realizzazione di sé. Non si sceglie il sesso dei bambini, il colore degli occhi, non si sceglie il futuro professionale stressando certi geni nel DNA dei potenziali nascituri, non si regala nessuna possibilità ai figli: quel che si fa in questo mondo d'orrore è selezionare da un bouquet di doti realizzabili quelle più favorevoli sul piano statistico.
Ma il dato bello e vincente di Gattaca è che nello schierarsi, direi anche apertamente, contro un simile orrore, il film è in grado davvero di raccontare una storia e di portarla a compimento nella sintonia livello tra sceneggiatura e regia.Andrew Niccol è proprio uno sceneggiatore che ha avuto mezzi e modo di realizzare un film, il suo primo film dietro le macchine da presa, e si capirà quanto entusiasmo e quanta determinazione professionale possa averci messo l'uomo nel dire proprio quel che aveva da dire. In questo senso, il risultato finale è così didascalico e condensa tante aspettative e intenzioni da rischiare in più di un punto un becero moralismo, anche quando - come è per me - se ne condivida appieno l'umanesimo che lo sottende.
Già il protagonista, Vincent Freeman (Ethan Hawke), porta nel nome quella libertà che è senz'altro estranea ai nati in provetta. Questo ragazzo, che ha sempre sognato di andare tra le stelle a vedere cosa ci sia, non potrà mai fare quello a cui era destinato suo fratello Anton (Elias Koteas) già da giovanissimo. Vincent ha scritto nel proprio materiale genetico un futuro che i macchinari sanno leggere ed è una morte quasi certa per problemi cardiaci. Ma lui vede il cielo sopra di sé più che una condanna nella doppia elica del suo DNA. L'unica legge che riconosce è quella della sopravvivenza fin quando può spingersi, nell'andare avanti senza risparmiare mai le forze per il ritorno. Perché non c'è ritorno.
Vincent imbocca la stessa strada scientista di un dio DNA. Si spoglia quotidianamente delle vestigia imperfette del suo esser nato per Dio e per amore, rivestendosi degli umori di un altro uomo, invalido in seguito a un tentativo di suicidio, Jerome Eugene Morrow (Jude Law): Jerome, come Girolamo, il primo volgarizzatore delle Sacre Scritture; Eugene, come ben nato, concetto ben noto ai Greci e ai Tedeschi di Hitler; e Morrow, come il domani, in cui si si fondono gli spettri di mourne e sorrow, lutto e dolore.
Se devi lasciare tracce dietro di te, che siano tracce che portano lontano, magari fino al cielo. Disturbata o attratta da queste scie, una donna le segue e arriva tra le braccia, e nulla più, di Vincent che ormai si fa chiamare Jerome: è Irene (Uma Thurman). Ma Irene non è l'unica a seguire le tracce del giovane. Un omicidio nella sede della missione spaziale getta il sospetto su tutto un sistema. In questo mondo asettico, igienico fino all'anonimato per riconoscere i giusti indizi, un ispettore (Russell Milton) non si arrende ai dettami del direttore della missione (Gore Vidal), che vuole questo lancio più di qualsiasi altra cosa. Tutti i dipendenti sono sottoposti a continui controlli genetici, ma Vincent riesce a confermare l'identità corporea di Eugene, quella per cui è stato reclutato, in modo da non compromettere la sua partecipazione al lancio. Ma il rituale quotidiano del giovane viene compromesso e, senza mai risalire le chine di una vera tensione, il film prende una piega più intensa e un ritmo più rapido, come se le tematiche precipitassero in attesa di risolversi.
Gattaca di Andrew Niccol è la storia di uno scellerato patto di sangue alla Faust, ma senza Dio e senza Satana, che diventa la storia di un contrabbando di identità quale insieme di liquidi biologici e esfoliazioni corporee, di indagini cliniche e verifiche cliniche di innocenza. Cosa portiamo in noi?, ci chiede il film. Cosa vediamo in noi quando vogliamo guardarci dentro? Qual è il destino che siamo in grado di riconoscere nei viluppi della nostra vita? Soprattutto, perché scrutarla così da vicino? Se questi corpi bellissimi non sono di una volontà di conformare il mondo intero, ma di un lavoro su se stessi e di una ferrea determinazione a superarsi, gli uomini nati dall'amore, da Dio o dal caso sono capaci di prepararsi a esaudire i loro desideri, ma non a trasformarsi, a diventare altro, per non guardare inermi alla loro realizzazione, come accade a Vincent:
Non ebbi mai la certezza che la mia meta fosse irraggiungibile quanto adesso che era lì davanti a me.
Prendono in prestito un'identità, ignorano le possibilità plastiche di qualsiasi sedicente Pigmalione. Si fingono degni del cielo dove voleranno, cercando di rendersi, se non padroni, almeno validi. Si prestano corpi e sogni per sopravvivere, diventano splendidi, macchine armoniche non per attirare il desiderio di altri esseri umani, ma per essere degni di desiderare. Si adeguano al loro dovere, più che per reale motivazione - lo spettatore fa il tifo per il suo eroe, nonostante conosca l'importanza delle condizioni fisiche degli astronauti - perché vivere non è più un'opportunità, ma un dovere, un insieme di diktat delle forme di successo sociale.
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