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“Gatti della mia vita” di Emanuele Schembari – Tra narrazione e autobiografia

Creato il 10 novembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Copertinauna recensione di Giuseppe Nativo. “Anima che accarezzo a sera”, scrive Alda Merini dedicando una poesia al proprio amico a quattro zampe. Pensiero che viene rafforzato da Giorgio Manganelli quando afferma “chi ha gatti cade in una forma di dipendenza che non conosce disintossicazione”. La letteratura di ogni tempo si è sempre mostrata attenta al mondo degli animali. Spesso, però, gli animali sono solo un espediente letterario per presentare i vizi e, qualche volta, le virtù degli esseri umani.

Ciò emerge nel recente volume del giornalista, scrittore e poeta Emanuele Schembari, figlio degli iblei, che nelle intense ed articolate 188 pagine racconta i “Gatti della mia vita” (Ismecalibri, 2015). Preambolo iconografico è rappresentato dalla immagine di copertina su cui campeggia, nelle variegate cromie, il dipinto scaturito nel 1918 dall’eclettica anima artistica della pittrice francese Suzanne Valadon dedicato, appunto, a “Due gatti”. Posti in coppia, sono lì ad osservare il lettore mostrando la loro felinità e morbidezza.

“Penso che i gatti – confessa l’autore – mi abbiano insegnato ad essere più umano ed è per loro merito che cerco di capire anche le persone”. I gatti hanno trasformato la sua vita; le sue azioni e il suo comportamento sarebbero stati diversi, senza di loro. Peculiarità da non trascurare è che le relazioni “con i gatti mancano dei tradimenti, delle contraddizioni, delle complessità che caratterizzano i rapporti umani”.

Si dice che i gatti siano magici, abbiano qualcosa di misterioso. In tutti questi anni di convivenza con i gatti che hanno costellato i vari momenti della tua esistenza, dall’infanzia all’adolescenza e fino all’età matura, che impressione hai ricevuto da loro? “La loro influenza è di ordine psicologico e psicosomatico. Non credo nei misteri, né ho mai creduto all’influenza positiva o negativa dei gatti e li ho sempre considerati solo ricchi di fascino. Hanno pupille fosforiche e pelliccia elettrizzabile, per questo sono stati depositari di un mistero, angelico o demoniaco”.

A parte i baffi, i gatti hanno altri punti sensibili? “In verità hanno un punto debole che è il naso. Un mio amico raccontava di un suo gatto che, correndo nel corridoio della sua casa, è andato a finire contro una porta, battendo il naso e morendo sul colpo”.

Lo scrittore Adam Post scrive, tra l’altro, che “se non riesci a vedere la bellezza di un gatto, non riesci a vedere la bellezza”. E’ un po’ la sintesi del libro. Ma perché hai deciso di dedicare un libro ai gatti, tra narrazione e autobiografia? “Ho deciso di scrivere un libro sui gatti nel momento in cui ho scoperto di essere diventato un vecchio che sta rasentando le ottanta primavere, anche se i miei capelli sono solo leggermente brizzolati, con la comparsa dei primi acciacchi. Con la consapevolezza di tale stato di cose ho avuto la sensazione della precarietà della vita, rendendomi conto che niente mi appartiene, che tutto mi è stato dato in prestito e dovrò restituirlo”.

Di qui l’esigenza di essere retrospettivo? “Mi è venuto il desiderio di un riesame della mia vita, in un processo a ritroso con i luoghi e le persone con cui sono stato a contatto. E ho scoperto che il rapporto con le altre persone, a parte le eccezioni, è stato controverso, spesso negativo e, comunque, non sempre lineare. Ho pensato che, solo attraverso i gatti, avrei potuto ripercorrere la mia esistenza nella quale ci sono stati più gatti a cui sono stato legato, che persone a me care”.

E di gatti Emanuele Schembari ne ha incontrato veramente parecchi, tanto da poterne illustrare le abitudini, le passioni, le tristezze, l’allegria, l’intelligenza, le nevrosi, le scontrosità, le affettività, aggiungendo che “poiché ognuno cerca di attribuire ai gatti che ha incontrato qualcosa di se stesso, dei propri ricordi e delle proprie esperienze, parlare dei gatti diventa un modo di parlare di sé”.

Curiosità

Le non poche curiosità citate nel libro portano il lettore in una dimensione familiare intrecciata e intersecante l’intero percorso esistenziale di Emanuele Schembari il cui iter narrativo inizia, quando ancora bambino di circa quattro anni, con l’incontro dei primi gattini presso la nonna paterna “decisamente scorbutica un po’ con tutti, tranne che con me”. Una nonna come quelle di una volta che “diceva di aver avuto quindici figli, cinque al limbo, cinque in paradiso e cinque all’inferno. Per i primi si trattava di aborti spontanei, i secondi erano morti quando erano ancora piccoli e i cinque viventi erano quelli che sarebbero andati all’inferno”. E poi la nonna materna, nel quartiere popolare dei Cappuccini, che abitava in un paio di stanze a pianterreno provviste di “u jattaluoru” (gattaiola), piccola apertura sul muro in basso, accanto all’ingresso della casa che consentiva di far entrare e uscire la gattina senza nome nutrita con bucce di provola o pane bagnato.

Molteplici i capitoli dedicati ai numerosi gatti che hanno incrociato la vita dell’autore: da Polidoro, che “esprimeva la sua affettuosità con discrezione”, affetto da narcisismo in quanto amava guardarsi allo specchio, a Matteo che gradiva tanto la sarda fresca bollita da emettere un mormorio di soddisfazione, a Lillino “il gatto rimasto bambino” amante della compagnia a tal punto da trovare posto in una sedia per poter stare accanto alle persone, e poi Ciro che cercava di prendere il pallone nel video del televisore durante le partite di calcio, infine Timmy e Teddy, “persiani dal mantello color topo” e molto affettuosi, giusto per citarne solo alcuni.

Presentazione libro Schembari


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