21 NOVEMBRE - Per tutta la giornata di ieri si sono rincorse notizie e smentite di una possibile tregua fra Israele e Hamas, inizialmente prevista per la mezzanotte (ore 23 in Italia). Tuttavia, il tanto auspicato cessate il fuoco non è arrivato e si dovrà quindi aspettare la giornata odierna. Le aspettative per questo stop alla violenza erano alte, dopo un fine settimana che si è trasformato in una vera e propria "strage degli innocenti", dove in totale undici bambini hanno perso la vita durante i raid israeliani a Gaza. L'episodio più grave si è verificato nel quartiere residenziale di Nasser, Gaza City, dove domenica l'aviazione israeliana ha bombardato una palazzina di alcuni piani, uccidendo undici persone, per lo più donne e bambini, appartenenti alla stessa famiglia. Lunedì in tarda serata, invece, due bambini di 4 e 2 anni con i loro genitori sono stati uccisi in un raid israeliano presso Beit Lahiya.
Con gli ultimi attacchi di ieri da parte dell'aviazione israeliana e la distruzione lunedì pomeriggio del Media Center, sede del centro stampa nazionale nonché delle strutture di comunicazione di Hamas, cresce costantemente il numero delle vittime civili. Dall'uccisione di Ahmed Al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam che ha inaugurato mercoledì scorso l'operazione militare israeliana Pillar of Defence (Colonna della Difesa) contro la Striscia di Gaza, si contano più di 112 civili morti, quasi tutti palestinesi, e 920 feriti. Ciò che genera sconforto, tuttavia, è in particolare il numero dei bambini vittime degli attacchi. Secondo i dati pubblicati alle 15 di ieri pomeriggio dall'Unicef, sono 18 i bambini palestinesi che hanno perso la vita dall'inizio delle ostilità e 252 sono rimasti feriti.
Nel frattempo la macchina diplomatica si è già messa in moto, con un richiamo condiviso alla moderazione, indirizzato ad entrambe le parti. In particolare, gli Stati Uniti, pur avendo riconosciuto il diritto di Israele all'autodifesa, chiedono di evitare un'escalation di violenza, che porterebbe solo ad altre vittime civili. William Hague, ministro degli Esteri britannico, ha dichiarato domenica in televisione che con un'invasione di terra di Gaza Israele perderebbe buona parte dell'appoggio internazionale. Ipotesi quest'ultima che sembra scongiurata per il momento, come riferisce un alto responsabile del governo di Tel Aviv all'agenzia France Presse " [...] Israele ha deciso di sospendere provvisoriamente tutti i progetti di un'invasione di terra a Gaza per favorire gli sforzi diplomatici ". Domenica rappresentanti di Israele e Hamas si sono incontrati separatamente al Cairo con rappresentanti egiziani per tentare di trovare un accordo. Al termine degli incontri, sono stati individuati a grandi linee gli elementi necessari affinché sia raggiunto un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Fra le varie richieste esposte, Israele chiede lo stop immediato al lancio dei razzi nonché l'inizio di una tregua che duri per oltre 15 anni. Dal canto suo, Hamas chiede la fine dell'embargo e delle uccisioni mirate nella Striscia di Gaza.
In questi giorni, tutte le più importanti delegazioni diplomatiche si stanno recando a Gaza per dare il loro contributo alla risoluzione di un conflitto, che potrebbe mettere a rischio il già precario equilibrio della regione. Ieri in tarda serata è arrivato al Cairo il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, che oggi ha incontrato il segretario generale della Lega Araba Nabil el Araby, il presidente egiziano Mohamed Morsi e il premier israeliano Benyamin Netanyahu, nel tentativo di evitare un'ulteriore recrudescenza del conflitto. Ban Ki Moon ha invitato tutte le parti a collaborare per mettere fine alle violenze, esprimendo particolare preoccupazione per la sorte dei civili, in Israele e a Gaza. Ieri è stato il turno anche della delegazione di alcuni ministri degli Esteri della Lega Araba (Egitto, Marocco, Iraq, Sudan, Libano e Giordania) che si sono recati a Gaza per esprimere la loro solidarietà alla popolazione palestinese. Non da ultima, ieri è giunto a Tel Aviv il Segretario di Stato Hillary Clinton, dove ha incontrato in serata il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Sia che la tregua venga annunciata oggi o venga ulteriormente posticipata, il tempismo perfettamente calcolato dell'operazione Un altro fine occulto di questa nuova offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza è, come scrive Vittorio Zucconi su Pillar of Defence è un elemento che merita una riflessione. Infatti, l'offensiva da parte di Israele è stata intrapresa poco dopo le elezioni americane e in vista delle elezioni israeliane il prossimo gennaio, nonché prima che a fine novembre Abu Mazen presenti all'Onu la richiesta di riconoscimento della Palestina come Stato non membro. Questo schema era già stato adottato da Israele con l'operazione denominata Piombo Fuso, messa in atto nel novembre 2008, poche settimane dopo l'elezione che portò Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti e prima delle elezioni in Israele nel febbraio 2009. Le elezioni del prossimo gennaio in Israele sono, quindi, il primo degli obiettivi celati di questa ripresa dell'eterno conflitto israeliano-palestinese. Secondo un sondaggio condotto dal quotidiano Haaretz l'84% degli israeliani appoggia l'operazione militare, contro il 12% che non la condivide. Con questo largo consenso da parte della popolazione sul suo operato, Netanyahu si può presentare ottimista al voto. La Repubblica, mettere alla prova l'alleanza con gli Stati Uniti e vedere fino a che punto Israele possa contare sul neo ri-eletto Obama, anche in vista di un ipotetico conflitto con l'Iran nel futuro.
In questo intreccio di alleanze vecchie e nuove, macchinazioni elettorali, guerre all'orizzonte e antichi rancori, sono sempre i civili indifesi a pagare il prezzo più alto.
Laura Fontana