Di Gabriella Maddaloni.
Non c’è pace a Gaza: è proprio il caso di dirlo. Dopo il prolungamento, deciso ieri, di altre 24 ore della tregua, si era osato sperare che tra Israele e Hamas ci fosse la seria volontà di giungere a qualcosa di concreto durante i negoziati in Egitto. Ma così non è stato.
Tel Aviv ha accusato Hamas di essere responsabile del lancio dei missili verso Beer Shiva, città del Neghev, mentre si stavano ancora svolgendo le trattative di pace al Cairo. Così Netanyahu e il ministro della Difesa Yaalon hanno ordinato all’esercito di colpire “obiettivi terroristici” nella Striscia. Le truppe israeliane hanno anche bombardato Rafah, causando il ferimento di 2 bambini, come riportano fonti locali. Non solo: per ordine del premier ebraico è stata anche ritirata la delegazione israeliana dall’Egitto.
Hamas, dal canto suo, non ha rivendicato – o non ancora – come propri gli attacchi nel Neghev. In ogni caso Fawzi Barhum, portavoce dell’organizzazione islamica, aveva dichiarato precedentemente – una minaccia, neanche troppo “velata”? – che “Se il premier Benyamin Netanyahu non comprende le richieste e il messaggio della Striscia di Gaza espresso al Cairo col linguaggio della politica, conosciamo il modo di farglielo comprendere egualmente”. Più o meno le stesse parole erano state ribadite da un altro esponente di Hamas, Izzat Risheq,: “I negoziati possono fallire in qualsiasi momento. Il nemico (Israele, ndr) non ha accettato nessuna richiesta dei palestinesi e tutte le opzioni sono aperte”.
Hamas ha accusato quindi Israele di essere troppo “intransigente”su alcuni punti fondamentali delle trattative diplomatiche. Resta il fatto che il conflitto è ripreso, e gli ultimi drammatici bilanci si aggraveranno inevitabilmente: allo stato attuale sono oltre 2000 i morti palestinesi – di cui 500 bambini – e 67 quelli israeliani. Che numeri si toccheranno prima che questo atavico strazio abbia fine?