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Gazzé: “Fare musica è un gioco e mi diverto ancora molto”

Creato il 09 dicembre 2015 da Annarellina
Max Gazzè
Una volta i dischi si ascoltavano in salone, sedendosi su una poltrona in pelle e azionando il grammofono, si rimaneva in contemplazione quasi mistica ad ascoltare e a vagare con la mente, perché la musica vera ti porta sempre da un’altra parte, sale veloce nell’iperuranio della fantasia e dell’immaginazione e distrugge tutte le vie di mezzo, tutti i percorsi scoscesi e storti. Oggi sono pochi i “dischi” (che neanche si chiamano più così), che riescono a strapparti a brandelli il cuore e a portarti via del contemporaneo smodato e fatiscente, sono pochi gli artisti che squarciano il velo dell’indifferenza sonora delle nostre giornate, sono pochi ma ci sono ed uno di questi è Max Gazzé e il suo Maximilian, album uscito il 30 ottobre, in vetta alle classifiche di vendita e di ascolto, meritatamente. Che Gazzé sia un fuoriclasse non stupisce, ma riesce a sorprendere la varietà musicale, dialettica e sonora, che nonostante due decenni di carriera riesce ad avere.
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Maximilian è una macchina musicale perfetta, fa riflettere, fa saltare in aria, fa urlare e ti fa venire voglia di ascoltare solamente, arrendendosi alla bellezza e alla pienezza a tratti malinconica e a tratti surreale dei suoi brani. C’è tutto in Maximilian, tutto quello che è in un uomo antico e nobile, tutto quello che spesso neghiamo anche a noi stessi come le assenze, i sorrisi e l’amore perduto. E’ un inno alla vita questa dolce epopea musicale, un prodotto musicale riuscito e di lunga durata, che a livello letterario è sospeso tra la leggerezza calviniana e la ruvidezza di Carver. Tra il suo ginepraio di capelli Gazzé nasconde ancora molte cose, nonostante ne dica molte, sembra una miniera inesauribile. Anche quando risponde alle domande, è autentico e sinuoso, non si risparmia e pulisce le parole dagli orpelli, come fa l’artigiano con la pelle o il falegname con il legno. Com’è portare in giro Maximilian? Portare lontano un disco nuovo e portarlo tra la gente è sempre un piacere. Far conoscere una creatura alle persone è qualcosa di meraviglioso e intenso. Emotivamente è bellissimo suonare, presentare il disco attraverso le sonorità è sublimare e condividere un lungo lavoro. C’è soddisfazione. E’ un disco ricco di collaborazioni, un disco diverso… Sì, sono tantissime le nuove collaborazioni come quelle con Simone Cremonini, Giorgio Baldi, Tommaso di Giulio, oltre le storiche con mio fratello, Francesco, e come De Benedittis. Questo lavoro per me è come un quadro ricco di forme e colori differenti, dove ogni pennellata è quasi unica e costituisce un’opera a se stante. C’è un brano, “Verso un altro immenso cielo” in cui la realtà si fonde con l’immaginario. Riesce sempre a spaziare in ogni album in questi due universi uno di fantasia e uno di realtà. Penso che l’essere umano è composto di più sensi metafisici, sono coscienti entrambe le parti: quelle materiali e quelle metafisiche. Ci sono molti testi che descrivono le parti materiali però sono anche un musicista a cui piace molto fare dei ragionamenti e riflettere sulle cose. “Verso un altro immenso cielo” è un brano sinfonico, è un brano molto impegnativo da arrangiare e corrisponde alla descrizione della mia parte sinfonica. Esiste anche ciò che non vediamo, sono le nostre percezioni che fanno diventare materiali i pensieri, accade così anche nella mia musica. Il primo singolo “La vita com’è” è una sorta di invito a non prendersi troppo sul serio… Uno che scrive canzoni non può prendersi troppo sul serio, fare musica è un gioco. Mi piace approfittare di questo strumento per creare in maniera spensierata. Ne “La vita com’è” invito ad accettare il cambiamento quotidiano e dico appunto che si può essere seri e non seriosi. Anche ridere può essere serio, questo mondo in cui tutto è pericolo tutto viene sclerotizzato, invece occorre pensare la vita com’è per i fatti che accadono e pensando che la positività sia contagiosa, così come il dolore. Il tappeto musicale è meraviglioso e variegato. Come è stato tenere insieme tante unicità sonore? C’è stata una volontà a priori, questo album posso immaginarlo come un quadro con tanti colori e ho voluto farlo eterogeneo. La forza di questo disco è che ogni canzone è un singolo, che vive traccia dopo traccia come si faceva negli anni ’60, in cui le canzoni possono essere ancora ascoltate a distanza di anni e avere una loro forte autonomia. Si diverte ancora a fare questo lavoro? Mi diverte ancora molto, mi diverte ancora tutto dalle fasi produttive fino ad arrivare alla condivisione con il pubblico. Sono innamorato della quotidianità della musica e cerco di esserlo ogni giorno di più. Tornerà al cinema? Guarda, sto lavorando in questi giorni sul set del nuovo film di Simona Izzo, si intitola “Gli scoppiati”, una pellicola in cui sono coprotagonista. Ho la fortuna di lavorare con una regista bravissima che sa trasferire magistralmente le forme di emozione sulla pellicola. Uscirà nel 2016.

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