Link all'immagine originaleNegli ultimi anni, grazie anche ad una pellicola rinomata, la figura della geisha ha preso piede in Italia in maniera preponderante. La parola geisha, 芸者 in giapponese, introduce una persona (sha) devota all'arte (gei), il cui principale talento è quello di creare un'atmosfera di distacco da quella che è la realtà quotidiana. Se maiko ("fanciulla danzante") vuol dire "danzatrice", geisha dunque significa "artista". Come dicevo sopra, gli ultimi anni ci hanno aperto un varco sulla realtà del fiore e del salice (così viene definito l'incantevole mondo delle geisha) e, anche se in maniera errata e alle volte davvero grossolana, abbiamo imparato moltissime cose su di loro: sappiamo che i quartieri dove vivono sono una realtà a parte, dove gli uomini che vi lavorano hanno mansioni come acconciare i capelli, aiutare ad indossare i kimono e altri doveri che rimangono sicuramente "precari" agli occhi di una realtà come la nostra. Le geisha vivono in delle case (okiya) gestite da proprietarie dette in giapponese okasan, e che rispecchiano la tradizionale figura dell'imprenditrice. La parola 'geisha' è tipica del dialetto di Tokyo, e infatti a Kyoto infatti le geisha vengono chiamate geiko. Un'apprendista geisha è definita maiko e si riconosce perché ha il viso pitturato di bianco e molti accessori nei capelli. Un'apprendista è molto meno sobria di una geisha.I suoi capelli, neri per eccellenza, sono sempre raccolti sul capo in difficili acconciature che ricordano la forma di un nido. Indossa solo tabi (scarpe giapponesi) e calze di seta, in modo da tenere tutto il corpo coperto ed esprimere, secondo l'eleganza estetica giapponese, sensualità. Il colletto del kimono sarà l'unico vezzo erotico che la nostra artista si concederà: per i giapponesi, infatti, il collo è un punto di massima sensualità, e lasciarlo scoperto è una calamita irresistibile. I vestiti che indossa una geisha si fondono con le stagioni: la geisha segue il ritmo della natura e la accompagna attraverso l'uso di colori sobri o delicati. La fascia che portano in vita, l'obi, viene legata dietro in modo particolare, e si differenzia in questo modo dalla stessa fascia che usano le prostitute, legata invece sul davanti (per ovvie ragioni di praticità).

Poco conosciute sono le pubblicazioni "alternative" a quella di Golden, ed alcune non hanno nulla da invidiargli, sono semplicemente raccontate in modo diverso e meritano assolutamente una bella lettura; sto parlando prima di tutto di La mia vita da Geisha di Liza Dalby. Questa antropologa americana affrontò gli studi per diventare geisha negli anni della tesi, immergendosi totalmente nella loro vita e nelle loro abitudini, e sperimentando anche quel concetto di sorellanza che si viene a creare tra apprendiste, quel rispetto verso le madri e le geisha già affermate.Il libro è davvero bello: tutto viene descritto con tale delicatezza e accuratezza di dettagli che leggerlo è più che un piacere; lo si potrebbe definire uno studio finalizzato a far luce sulla confusione che esiste nei confronti di un mondo tanto chiuso quanto affascinante. 
Un elenco delle pubblicazioni in lingua italiana degli ultimi anni, (alcuni libri devo ancora leggerli, un'opinione e un confronto fra i vari testi saranno approfonditi nel prossimo articolo):

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La geisha è un enigma. È una contraddizione vivente nel Giappone "high tech" del terzo millennio. È l'incarnazione stessa dell'anima del paese. Con tenace pazienza, l'autrice ha saputo schiudere le porte di questo mondo segreto per combinare i curiosi dettagli di quattrocento anni di storia, svelando ad esempio che le prime geishe erano uomini, e che gli uomini geisha esistono ancora.

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Cosa significa essere donna nel Giappone dei Duemila? Al di là dello stereotipo della geisha, tutta finezza e sottomissione, la realtà della femminilità nipponica odierna è ancora da scoprire. È un universo inaspettato e variegato quello che emerge dai racconti di questa antologia, scritti da autrici assai eterogenee (dalle scrittrici di professione alle prostitute, fino ai transessuali) che, in pagine che seducono e divertono, dipingono il proprio mondo in tutte le sue sfumature: un occhio di riguardo per l'eros, ma anche per il senso di maternità, della famiglia e per la sensibilità affettiva.

Il passaggio dall'immaginario al quotidiano, dal pensiero alla pelle, è sempre una terra di confine poco esplorata, perché contesa tra cuore e ragione. Questo racconto, intrigante e giocoso, è una mappa per svelare, con raffinata sensualità, il delicato equilibrio fra il maschile ed il femminile, lo yin e lo yang, la geisha ed il samurai.

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In una Casa-Okiya alla periferia di Roma sette ragazzi vivono comegeisha sotto la guida di una transessuale Mama-san. Raccontano inprima persona il loro modo di amare e di vendere il loro corpo. L'omicidio efferato di uno di loro li costringerà a confrontarsi con la
propria fragilità.

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Una piccola curiosità: quando ero a Kyoto, mi è capitato di vedere delle finte maiko farsi scattare fotografie e riprendere con la telecamera. Mi sono accorta che erano "fasulle" perché una signora giapponese accanto a me me lo fece notare. Nello stesso momento, fui guidata dalla stessa gentile signora con lo sguardo in un viottolo, dove c'era una geisha con un elegante kimono blu, struccata ma con i capelli acconciati. Lei mi disse: "quella è una vera geisha". Fu un emozione che ancora ricordo.Articolo di Miyuki Inoue





