Ma, com’era capitato qualche anno prima col Mercuzio del Romeo e Giulietta, il fool aveva preso la mano del grande drammaturgo, fino a catalizzare tutta l’attenzione su di sé. Shakespeare fu costretto a far morire Mercuzio in corso d’opera, ma Falstaff era troppo ingombrante per fare la stessa fine. Il genio di Stratford upon Avon dovette per forza di cose portare il personaggio fino alla fine della seconda parte del dramma, sviluppando l’opera su due piani paralleli, il dramma storico e la farsa, riuscendo nell’impresa di mantenere il tutto in un acrobatico equilibrio. Nell’ultima battuta della II parte dell’Enrico IV, vero e proprio esodo della monumentale opera, Shakespeare mise in bocca a un anonimo ballerino l’anticipazione della morte di Falstaff, confermata dall’Ostessa nella III scena del II atto del sequel Enrico V.
Enrico V non è altri che il Principe di Galles, erede presunto e compagno di bisbocce di Falstaff nell’Enrico IV, salvo poi rinnegare il suo passato scapestrato e l’ingombrante (sia fisicamente che moralmente) compagnia del pantagruelico e attempato scavezzacollo, non appena si aprì per lui la via del trono. Un principe poteva pur permettersi una gioventù sregolata, ma un Re doveva recidere ogni legame con tali trascorsi, pena la delegittimazione della sua autorità. Così, Sir John venne immolato sull’altare della patria. Ma la popolarità raggiunta, il successo unanime e trasversale riscosso dal personaggio costrinse Shakespeare a resuscitarlo, anche perchè la nuova parusia di Falstaff fu perorata dalla stessa Regina Elisabetta.
Probabilmente, una prima riesumazione avvenne ancor prima della morte, dato che il canovaccio de Le allegre comari di Windsor, commedia scritta tra il 1599 e il 1601, servì da soggetto per un masque di corte del 1597, immediatamente dopo la rappresentazione della prima parte dell’Enrico IV. Slegato da ogni riferimento politico e storico, Falstaff perse buona parte della sua carica dissacratoria. Ci sarebbe da chiedersi come mai Verdi e Boito si siano concentrati sulla commedia riesumatrice, prendendo appena qualche spunto dal monumentale dramma. L’unica risposta possibile è che a Verdi non interessasse minimamente di comporre un melodramma, per quanto ricco di spunti comici. All’ottuagenario bussetano, giunto al termine di una lunga e gloriosa carriera, premeva solo di cancellare l’unica onta che ancora persisteva: il fiasco totale della sua prima e unica Opera comica, Un giorno di regno del 1840.
Più in generale, Falstaff, pur derivando dal topos già presente in Plauto e Terenzio del soldato codardo e millantatore, si colloca come diretto discendente della saga rabelaisiana di Gargantua e Pantagruele, in una linea genealogica che dall’irriverente monaco francese arriva fino al Pere Ubu di Alfred Jarry.