di Rina Brundu. Tale è la forza, la carica estetica, il ritmo incalzante, la potenza visionaria che fa vivere la “poesia” Generale di Francesco De Gregori (1978) che, nonostante gli sforzi, non riesco a trovare un valido background letterario di riferimento che mi guidi in una sua analisi. Certo, mi viene in mente l’William Blake più ispirato, certo mi viene in mente lo splendido frammento Kubla Khan (1797) del suo connazionale Samuel Taylor Coleridge, certo mi viene in mente lo straordinario miltoniano (in senso lato), tutti “momenti” altamente poetici accomunati appunto da una forza e da una potenza visionaria unica, ma è pure vero che ciascuno di quei testi, rispetto a “Generale” (che è un unicum inscindibile di testo e musica), vive dentro un universo unidimensionale.
La peculiarità di quest’opera degregoriana, a mio avviso, è invece quella di essere un vero cronotopo dei tempi (quasi un metacronotopo dunque). Come sappiamo il concetto di “cronotopo” (ovvero lo spazio-tempo) è un concetto prettamente fisico usato per definire la struttura quadridimensionale dell’universo. Ed è un concetto che deriva direttamente dalla teoria della relatività ristretta einsteniana che per la prima volta azzardò una equazione tra spazio e tempo. In narratologia, fu invece il filosofo e critico russo Michail Bachtin (1895-1975), a proporre, nel suo saggio Estetica e romanzo (1975), la teoria del cronotopo che, molto semplicemente, aveva lo scopo di mettere in evidenza le concatenazioni di rapporti temporali e spaziali dentro il testo. Detto altrimenti, questo grandissimo del secolo scorso si è occupato di studiare l’importanza del fattore “tempo” nel romanzo europeo. E, quindi, nella scrittura.
E di “scrittura”, sebbene figlia di un fortunato compromesso con la musica vive pure “Generale”. Meglio ancora, questo capolavoro assoluto dell’arte cantautorale italiana vive di “poesia” e dunque di un’arte sicuramente più adatta a coltivare l’imagery (i.e. gli artifici retorici nel discorso) necessaria a sostenere la teoria cronotopica bachtiniana. L’esempio più banale che posso fare a sostegno della mia tesi sta proprio nella prima straordinaria strofa della canzone. In questo formidabile incipit, infatti, la “figura” capace di occupare uno spazio multi-dimensionale è senz’altro quella della “contadina” suo malgrado “curva sul tramonto”. Più precisamente, nel primo verso, lo scorrere del tempo, su uno spazio fisico ben delimitato, ovvero “in mezzo al prato”, viene rimarcato in maniera duplice: la prima volta sottolineando la parabola discendente del sole al “tramonto”, la seconda sottolineando il suo effetto sul corpo della donna che è appunto “curva”, come a dire non più giovane, proprio come viene prontamente ribadito immediatamente dopo.
Strategie tecnico-letterarie a parte, “Generale” è un cronotopo dei tempi (dei nostri tempi), soprattutto perché è racconto del prima e del dopo, del qui e del là, dell’andata e del ritorno, della pace e della guerra condensate in un unico istante. Un istante prezioso che è fondamentalmente un raro momento vero di amara constatazione, di riconsiderazione, e dunque, dulcis in fundo, di spinta verso la crescita personale, morale e intellettuale a dispetto del Tempo-in-crisi che pure scorre nel sottofondo. O forse proprio per questa ragione. Tutto il resto ognuno lo può interpretare come meglio crede dato che la possibilità di interpretazioni multiple è anche questa una caratteristica prima di ogni grande opera d’arte: e che Generale di Francesco De Gregori rientri in questa nobilissima categoria non vi è dubbio alcuno!
RB in Dublino, il 20 di Aprile 2012
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- GENERALE – IL TESTO -
Generale dietro alla collina,
ci sta la notte crucca ed assassina
e in mezzo al prato c’è una contadina,
curva sul tramonto, sembra una bambina
di cinquant’anni e di cinque figli,
venuti al mondo come conigli
partiti al mondo come soldati
e non ancora tornati.
Generale dietro la stazione,
lo vedi il treno che portava al sole
non fa più fermate neanche per pisciare
si va dritti a casa senza più pensare
che la guerra e’ bella anche se fa male
che torneremo ancora a cantare
e a farci fare l’amore,
l’amore dalle infermiere.
Generale la guerra è finita
il nemico è scappato, è vinto, è battuto
dietro la collina non c’è più nessuno
solo aghi di pino e silenzio e funghi
buoni da mangiare buoni da seccare
da farci il sugo quando viene Natale
quando i bambini piangono
e a dormire non ci vogliono andare.
Generale queste cinque stelle
queste cinque lacrime sulla mia pelle
che senso hanno dentro al rumore
di questo treno che è mezzo vuoto
e mezzo pieno e va veloce
verso il ritorno, tra due minuti
è quasi giorno, è quasi casa,
è quasi amore.
Featured image, partigiani sovietici in Bielorussia nel 1943.