Potremmo indagare sul motivo che spinge i colossi dei social media a far di tutto per aiutarci a creare ricordi e a condividerli ma si rischia di cadere nella letteratura di fantascienza di serie B, anzi, di seconda categoria o qualche analogo girone di dilettanti che, a giocare, rischi un’entrata di quelle che poi la caviglia non te la ritrovi più. O ancora peggio nella teoria dei complotti che oramai tutti consideriamo insulti all’intelligenza del genere umano. D’altronde dal momento in cui accendiamo il pc a quello in cui mettiamo al corrente il mondo di un nostro ricordo trascorrono sempre meno istanti, fateci caso. Ci dev’essere un filtro alle cose invece assente in natura perché dal vivo si osserva quello che ci circonda e quello che ci circonda stimola osservazioni sul presente o desideri per il futuro. Non è un teorema assoluto, ognuno poi nella sua testa fa quel che vuole. Ieri per esempio ho scoperto che a Milano c’è una stazione dove parte a malapena un treno all’ora e quel treno va in una sola direzione. Non ho ricordi legati a questo curioso fenomeno, per esempio. Ma se ne avessi letto un parere magari condito dall’estro narrativo di qualche scrittore del web mi sarei precipitato a condividere almeno due o tre richiami ad altrettanti romanzi in cui questa dilatazione dei tempi del trasporto pubblico avrebbe un suo perché. Per quanto riguarda gli auspici per il futuro, poi, il mondo è un serbatoio senza fondo. Sempre ieri tornavo da Abbiategrasso in macchina con una persona dal cui racconto delle esperienze ortodontiche nelle regioni una volta aderenti al Patto di Varsavia cercavo di allontanarmi almeno mentalmente e, osservando le piste ciclabili lungo i canali che conducono a Milano, valutavo quante scappate in bici potrei fare in tutti i fine settimana da qui all’eternità. Solo un dettaglio mi ha ricondotto alla realtà: un cliente che sta per trascorrere per lavoro una settimana a San Francisco, quando a me solo quella trasferta di qualche ora ai confini dell’area metropolitana milanese mi aveva fiaccato come non vi potete nemmeno immaginare. Meglio tornare su Internet, dove ogni giorno c’è qualcuno che ci ricorda che due anni fa abbiamo messo quella foto o scritto quella cosa che magari volevamo dimenticare. Mi sono ripromesso di cercare in rete e poi di adottare come ricordo forzato da condividere con tutti i miei contatti l’esattezza della teoria secondo cui, percorrendo in auto una rotonda, occorre mettere la freccia anche quando si prosegue per l’uscita che continua la direttrice di provenienza, perché anche in quel caso un po’ a destra di gira. Se si compie invece un cambio di direzione di 90 gradi, le frecce da mettere sono due: prima a sinistra per girare, e poi a destra per imboccare la strada. Mi sono imbattuto invece in una di quelle iniziative dal basso a cui aderire, questa volta per una causa più che giusta e civile: l’abolizione dello scovolino da cesso. Possibile che in una casa di un paese occidentale si debba osservare una consuetudine così anti-igienica come un recipiente per tenere a mollo un simile raccoglitore di schifezze umane? Perché l’uomo si fa difensore di un così vistoso punto di contatto tra le dimensioni della normalità e della porcheria? Facciamo che noi italiani, d’ora in poi, passeremo alla storia come la popolazione che per prima ha fatto a meno dello scovolino, come abbiamo smesso di fumare nei ristoranti, abbiamo bandito l’amianto dalle nostre abitazioni e abbiamo abolito il contante dalle nostre transazioni (trova l’intruso).