Le etichette, si sa, nella loro frettolosa ricerca della sintesi, tralasciano molte sfumature di ciò che intendono sintetizzare, rischiando continuamente di cadere nel caricaturale e nello stereotipo. Nonostante questo, spesso riscuotono un successo tale da farne efficace veicolo di diffusione di tutto ciò che, in modo più o meno legittimo, possa essere messo sotto l’egida dell’etichetta stessa. E’ il caso del termine Krautrock, con il quale la rivista inglese Melody Maker, seguita a ruota dalla stampa angloamericana dei primi anni ’70, prese a identificare il fermento della scena musicale progressiva tedesca. Il termine, oltre ad avere di per sé una evidente portata caricaturale per il riferimento macchiettistico al contorno nazionale germanico, apriva ad allusioni su una presunta subalternità della scena tedesca nei confronti della Canterbury scene e della psychedelia californiana e newyorkese. In realtà, se è indubbia l’influenza delle esperienze angloamericane della seconda parte degli anni sessanta, il cosiddetto Krautrock (chiamato in patria in modo più pertinente, ma ugualmente limitante, Kosmische Musik) traeva altrettanti spunti di ispirazione dalla sperimentazione elettronica che, a partire dai primi anni cinquanta, si era sviluppata in Germania sulla scia dei Corsi estivi di Darmstadt e che aveva trovato in Karl-Heinz Stockhausen il più valoroso dei paladini. Se questa ascendenza autoctona connotò peculiarmente la scena progressiva tedesca, la straordinaria fioritura creativa fu la risultanza del gran numero di talenti che operò in questa scena.
Tracciare in poche righe un profilo esaustivo di questo variegato movimento è impresa impossibile, vuoi per l’imponente numero di musicisti degni di nota che lo hanno animato, vuoi per l’assenza di confini certi entro i quali comprenderlo e vuoi per la spiccata attitudine alla session e alla mescolanza tra le diverse esperienze. Le coordinate essenziali e peculiari sono rappresentate dal massiccio utilizzo dell’elettronica e dalle atmosfere cosmiche delle composizioni. Tra queste due coordinate, fanno capolino stimoli ed influenze provenienti dagli ambiti più disparati: free jazz, psichedelia angloamericana, tradizione e avanguardia colta europea, folk antico e moderno, raga indiano e trance sciamanica. Da questo brodo primordiale hanno attinto a piene mani molti degli stili musicali che hanno dominato la scena mondiale degli ultimi 30 anni, dalle più raffinate produzioni new wave, ambient, techno e world music, alle degenerazioni commerciali e stereotipate di certa new age e dance elettronica. Tra i protagonisti, musicisti, teorici e produttori come Edgar Froese, Klaus Schulze, Walter Wegmuller, Manuel Goettsching, Achim Reichel, Conrad Schnitzler e Conny Plank. Tra i progetti più compiuti, Tangerine Dream, Can, Amon Duul, Ashra Tempel, Popol Vuh, Faust e Neu!. A questi, andrebbero aggiunti i Kraftwerk, cronologicamente appartenenti a questa temperie, ma con una produzione piuttosto distaccata dal resto del movimento, radicalmente elettronica e dalle atmosfere più vicine al Noise industriale che alla musica cosmica.