Le persone che mi conoscono bene, che mi conoscono intimamente -le poche, perché sono sempre poche, immagino per tutti- mi conoscono ugualmente poco. La dissimulazione è il mio mestiere.
Un po’ per riservatezza, un po’ per modestia, non amo gridare al mondo i miei sentimenti, e neanche troppo com’è andata la giornata. Se ho un problema -o una gioia, magari, ma oggi voglio parlare soprattutto di problemi- o un dispiacere, se qualcosa mi ferisce o mi irrita, tendo a tenerlo per me. Non che voglia fare la vittima di questa storia: sono io che sono così, e per esser così, devo essere fondamentalmente una persona poco raccomandabile.
In ogni caso, se il buon Dio o le circostanze mi hanno fatta in questo modo, mi sta bene, lo accetto come accetto di avere le dita dei piedi bruttine -chissine.
La cosa, però, -e sono sicura che molti di voi lo hanno sperimentato- non è senza conseguenze, perché un giorno capita che non ce la fai più, che ti senti oppressa dal peso di tutto ciò che non dici, di tutte le brutte parole che non osi pronunciare neanche dentro di te. Non so se alle scuole medie il vostro professore di Inglese vi diceva che per parlare bene, dovete pensare direttamente nella lingua in cui volete esprimere un’idea, dovete pensare in Inglese, non tradurre. E’ così anche per noi professional pretenders: se devi fingere, comincia da te stesso e nega alla radice ciò che ti irrita, fai finta che non sia mai accaduto, distendi i nervi e va’ avanti. E’ così che faccio io.
Ma non puoi mica fregare il tuo cuore tutti i giorni. Allora un giorno ogni tanto, con cadenza regolare, ti senti un prurito su tutto il corpo e sei un fascio vivente di rivendicazioni, rabbia, lacrime, parolacce e brutte cose.
E’ a questo punto che è sacrosanta regola far intervenire lo shopping consolatorio. O meglio, parlare con un’amica -ché sennò pare che vi porti sulla cattiva strada- e poi, da sole, dedicarvi a spese consolatorie.
Le mie spese consolatorie si rivolgono a tre grandi categorie di oggetti: 1. qualcosa tipo uno champagne costoso, che mai comprerei altrimenti, oppure la fetta di torta da tre grammi tre, da Zanarini, dal costo vergognosamente sproporzionato. Non è che mi conceda queste cose. In queste occasioni voglio che costino tanto, mi piace di più: è l’idea di buttare, che mi calma e mi rilassa. Crepi l’avarizia.
2. dei cd -o vinili- ed è ciò che farò oggi: un bel giro alla Ricordi, ad arraffare un imprecisato numero di lp ed edizioni limitate.
3. prodotti per la cura del corpo, che sono una specie di surrogato commerciale dell’amor di sé, un surrogato, ma vanitosissimo e di grande piacevolezza. E a questo proposito, vi segnalo che, accanto alla amatissima Glossy Box, sono nate le scatole delle delizie di My little Pairis, le My little box. Ecco qualche bella foto.
Di cosa si tratta? Tu sottoscrivi l’abbonamento, loro ti mandano una scatola al mese, piena di dolci cose, come queste.