Quando giornalisti ed attivisti escono dal loro limbo per raccontare le vicende oscure nel mondo, fra i lettori si (ri)sveglia un interesse che mai avremmo pensato esistesse.
Urban Cairo è un blog che nasce da un eBook dedicato alla street art egiziana e concepito all’ombra degli eventi che sono finiti sotto i nome di Primavera araba. Inizia oggi la sua attività con un post dedicato proprio alla street art egiziana (qui una delle tante pagine Facebook dedicate al fenomeno, in lingua inglese), un fenomeno scoppiato in Egitto dopo quella che gli attivisti oggi chiamano la rivoluzione del 25 gennaio (2011, ndr). Non solo Facebook e Twitter, quindi, strumenti essenziali per la comunicazione. Ma anche le voci dei writer, figure ambigue del panorama metropolitano che con le loro opere sono stati (e continuano ad essere) i protagonisti della necessità di cambiamento in Egitto.
Li ho incontrati al Cairo dopo la rivoluzione del 25 gennaio. Sono un pugno di venti-trentenni che nella vita fanno i designer e i pubblicitari, ma anche gli insegnanti e gli scrittori. Si chiamano El Teneen (il Dragone), Keizer, Sad Panda (il Panda Triste), Ganzeer (Catena), solo per fare alcuni nomi. I giovani graffitari del Cairo sono convinti che, insieme ad altre forme di pensiero, la loro street art abbia avuto un ruolo nel rendere consapevoli gli egiziani del loro diritto alla protesta e nel risvegliare le loro coscienze. Non c’è un solo evento significativo o tragico avvenuto al Cairo durante i mesi della Rivoluzione che non sia stato rappresentato sui muri di questa città.
Dei graffiti apparsi al Cairo e in altre città egiziane si è parlato, e si parla ancora, perché si tratta di un vero fenomeno, sorprendente, nato in un contesto urbano zeppo di ogni sorta di divieti. Come ha scritto nell’introduzione a Urban Cairo Stefania Angarano, gallerista milanese residente al Cairo: “Sebbene spuntati soprattutto sui muri che circondano i centri simbolici del potere, non tutti i graffiti sono di contenuto politico, o se lo sono si valgono spesso di un linguaggio visivo già codificato al servizio di una provocazione moderata”.
Capaci di dar vita all’impossibile, con capolavori che rimangono nella coscienza civile delle persone, questi ragazzi hanno contagiato egiziani, residenti, e pure noi stranieri. A testimonianza di una cultura metropolitana che fra censura e denuncia sociale sta conquistando un nuovo pubblico.
Nell’Egitto contemporaneo, pero’, le rivoluzioni sono un fenomeno soprattutto urbano. Le città fanno le rivoluzioni. Le campagne semmai sono terreno fertile per controrivoluzioni e simili. E’ per questo, forse, che tanto fermento fa fatica a tradursi nello stesso tipo di cambiamento quando si va alle urne.