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Geni dell’economia e geni della lampada (di Axel)

Creato il 10 settembre 2013 da Tafanus
EuroPensateci bene: se foste il sindaco ed aveste un debito pari a quanto si produce in un anno nella vostra città (Pil consolidato) i dati storici e di flusso vi direbbero che la svalutazione potrebbe essere una delle vostre armi preferite: cioè esattamente quello che governi e banche centrali prediligono per spingere lontano dalle sabbie mobili l'economia dei propri Paesi.
In effetti se, improvvisamente, il valore dei vostri soldi divenisse pari a quello della carta straccia, sarebbe il disastro per chi di soldi ne ha, mentre per chi non ne dispone (e magari ha anche pesanti debiti) una situazione del genere diverrebbe la soluzione di tutti i problemi: guarda caso sia Berlusconi che Grillo hanno a più riprese parlato dell’uscita dall’euro e della creazione di una nuova moneta da presentare con una parità con l’euro.
Facile immaginare che nel giro di una notte la “nuova lira” crollerebbe a circa 1/3 a cambio con l’Euro, sia per il disastroso deprezzamento che avrebbe la moneta Italiana, che per il contemporaneo apprezzamento di cui beneficerebbe la moneta europea, con un valore che ragionevolmente andrebbe ad un quarto in pochi giorni.
Per chiarire il concetto alla casalinga di Voghera, si passerebbe da stipendi di valore pari a 1200 euro a circa 300, ipotizzando che la fiammata inflazionistica susseguente a questa scelta si esaurisse grazie alla deflazione dovuta alla perdita di potere di acquisto da parte dei cittadini, ma (e qui sta la genialata dei due buffoni) anche da un debito di circa 2000 miliardi di euro ad un debito pubblico di 2000 miliardi di nuove lire, che in poco tempo diverrebbero circa 500 miliardi di euro.
Una furbata utile in altri termini a dividere per quattro il debito pubblico.
Intelligente? Beh, sinceramente non molto: immaginate che oggi il costo del denaro con uno spread a 250 si aggira attorno al 3,25% con un costo annuo per interessi di circa 67 miliardi di euro, mentre con un debito di 500 miliardi di euro ed un interesse medio che molti economisti stimano potrebbe schizzare dal 12,5% al 15% avremmo interessi complessivi annuali variabili fra i  62,5 ed i 75 miliardi. Valori quindi non tanto diversi da quelli che paghiamo oggi, con però l’immediato annullamento dei vantaggi competitivi dovuti alla permanenza all’interno della comunità europea.
Per darvi un’idea più precisa, risulta semplice fare l’esempio delle quattro maggiori economie mondiali:  Stati Uniti, con Pil annuale superiore ai 15mila miliardi di dollari (superiore a quello dei 17 Paesi della zona euro che viaggiano sui 13mila miliardi, ma con una spesa militare interna pari a 663 miliardi di dollari nel 2008 e stimata pari a circa 830 nel 2012, il 4,5% del PIL); Cina (con un Pil di 8.200 miliardi di dollari, di cui circa 140 in spese militari, il 2,0% del PIL); Giappone (quasi 6 miliardi di Pil per un'estensione territoriale imparagonabile alla grandezza geografica di Usa e Cina ed una spesa militare pari a circa 47 miliardi di dollari, lo 0,9% del PIL); Germania, un'economia attualmente in grado di generare un Pil annuo di circa 3.400 miliardi di dollari, di cui circa 48 per spese militari (circa l’1,3% di PIL). Per darvi un’idea, oggi l’Italia ha un PIL di circa 1910 miliardi ed una spesa militare prevista di 45 miliardi pari a circa il 2,1% del PIL).
BceA differenza di altri Paesi dell'Eurozona (vedasi Italia e Spagna) la Germania non ha mai chiuso un anno in recessione in questa fase critica per l'area euro, ma si è limitata a cedere lo 0,6% solo nel quarto trimestre del 2012 (chiudendo comunque l'anno a +0,4%), mentre si prevede che nel 2013 le cose andranno meglio, e la Germania si confermerà la locomotiva dell'Eurozona, con una crescita dello 0,7% (in parallelo ad una decrescita dell’1,3% Italiana, per la cronaca).
Mentre gli Stati Uniti basano la crescita più sui consumi interni e sulle spese per la difesa, in Germania, Cina e Giappone sono le esportazioni a farla da padrone nella dinamica di progressione del Pil, e in tutti i casi il costo militare è percentualmente inferiore a quello Italiano.
Dal punto di vista dei conti pubblici il Giappone ha un debito/Pil superiore al 200% (ma in mano quasi esclusivamente ad investitori giapponesi), la Germania viaggia vicina all'82%, ma sarebbe vicino al 98%, se si considerassero, in base a quanto indicato da uno studio della fondazione tedesca Stiftung Marktwirtschaft, anche l'esposizione pensionistica e le spese sanitarie in programma nei prossimi anni, oppure se i debiti della Cassa Depositi e Prestiti tedesca (Kfw) non fossero considerati privati (a differenza di quanto avviene ad esempio in Italia): va sottolineato che questo debito è quasi esclusivamente in mano ad investitori esteri attirati dalla garanzia dei Bund.
Il debito degli Stati Uniti (101% del Pil, con però un trend in salita molto più vistoso di quello Italiano) è per buona parte in mano ai cinesi, che hanno però negli oltre 300 milioni di consumatori statunitensi un incredibile mercato di sbocco per foraggiare produzione low cost e crescita: questo è il cosiddetto  "equilibrio del terrore" su cui si regge il legame Usa-Cina) ed infine la Cina ha relativamente poco debito (35%).
Il riferimento invece alle spese militari è legato alla politica estera: ovviamente il costo dell’esercito Americano si bilancia in maniera perfetta sia con i vantaggi economici generati dalle missioni estere (sia dal punto di vista delle ricadute dirette per sfruttamento delle risorse dei paesi “salvati” che - indirettamente - dall’impulso al PIL derivante dalla vendita di armamenti) mentre in generale nazioni “clienti” spendono grandi somme per l’acquisto e la manutenzione di mezzi ed armi (vedi Arabia Saudita (spesa militare all’8,2% del PIL) ed Emirati Arabi (5,9%).
In questo senso le prime quattro economie del pianeta sono profondamente diverse, ma si assomigliano tutte quando cercano a più riprese (e con modalità differenti) di svalutare la propria moneta: dal 2009 gli Stati Uniti hanno messo a punto tre massicci piani di quantitative easing (iniezioni di liquidità attraverso nuova moneta fresca di zecca) con l'effetto di aumentare la base monetaria, svalutare la propria moneta e rilanciare l'economia, anche attraverso un accesso al credito semplificato.
Grazie a queste scelte il dollaro è lontano da quello che potrebbe essere un ragionevole cambio con l'euro, da valutare attorno ad 1,18€/USD, e in effetti questa mattina un euro viene scambiato sopra quota 1,31 dollari. Senza dimenticare in questo ragionamento la progressiva caduta del dollaro dal 1971 ad oggi, da quando cioè l'allora presidente Nixon decise di venir meno agli accordi di Bretton Woods, sganciando con decisione unilaterale la convertibilità oro-dollaro (e dando difatti inizio all'era della moneta fiduciaria).
F35E la Cina? Per evitare un apprezzamento dello yuan renmimbi (che sarebbe oltremodo traumatico per il Pil) la People's Bank of China ha fissato una banda di oscillazione con il dollaro massima giornaliera nel range -1%/+1% (prima dell'aprile 2012 la banda era addirittura più ristretta a -0,5%/+0,5%): un modo efficace (e molto criticato dagli Stati Uniti) per tenere a bada la moneta da apprezzamenti che renderebbero la bilancia commerciale cinese decisamente meno vantaggiosa per i cinesi e che avrebbe il risultato di abbattere drasticamente la crescita del PIL di Pechino.
Considerate che l'espansione cinese sta rallentando, passando da più del 10-12% annuo ad un valore che oscilla tra il 7 e l'8% (come si accingerà a fare nel 2013), ma le prospettive a medio termine prevedono una forte contrazione della positività della bilancia commerciale cinese con discesa a incrementi annuali del PIL verso quote più europee (alcune proiezioni vedono il PIL cinese in aumento del 2% circa nel 2020).
In Giappone è facile verificare che appena la BoJ (la Banca del Giappone) limita le azioni sulla moneta, lo yen si apprezza immediatamente, con immediate ripercussioni sulle esportazioni dal sol levante: è per questo che la BoJ, di concerto con il primo ministro Shinzo Abe (in polemica con chi vuole che regni sovrano il principio di indipendenza delle banche centrali) ha dato vita dallo scorso aprile a un massiccio piano di deficit/spending con aumento della base monetaria al ritmo di 700 miliardi di dollari l'anno per due anni.
L'obiettivo? Riportare l'inflazione al 2% (e scacciare le ombre della deflazione) e la crescita economica grazie a una valuta più debole (tale da rendere le merci nipponiche più appetibili all'estero).
Siamo alla Germania: con l'ingresso nell'euro ha svalutato il marco del 30-40% dando una spinta esorbitante alle esportazioni, tale da generare ormai un costante surplus commerciale, a livelli cinesi ma con caratteristiche tecnologiche nettamente migliori, dovute alla notevole spinta all’innovazione favorita dalla legislazione tedesca.
Non solo, il vantaggio tecnico è doppio: perché alla svalutazione del marco si deve aggiungere la contestuale rivalutazione delle monete dei competitors, paesi periferici dell'Eurozona (Italia e Spagna, ma anche Francia) che di conseguenza - al di là di problemi endogeni su cui bisognerebbe lavorare con urgenza come cuneo fiscale, evasione fiscale, ecc. - sono diventati meno competitivi all'estero perché hanno subito un apprezzamento della valuta.
Questo al contrario della Germania, che - oltretutto - grazie all’unificazione monetaria, gode dell’impossibilità da parte della banche nazionali europee di effettuare operazioni sul mercato dei cambi per procedere a quella che un tempo veniva chiamata "svalutazione competitiva".
Anni fa chi la effettuava (era una delle caratteristiche dell'Italia) veniva criticato ampiamente da quegli stessi Paesi che adesso non stanno facendo molto di diverso, dimostrando di non avere idee migliori se non utilizzare in prima persona, e con ogni mezzo possibile, l'arma della "svalutazione competitiva".
Certo l’obiettivo di generare svalutazione competitiva è alquanto differente se visto con gli occhi dei quattro paesi con PIL più elevato, e anche in questo i due affabulatori dimostrano una scarsissima competenza specifica nel campo dell’economia: pensare di far saltare il banco per non pagare i debiti assomiglia sinistramente al titolare dell’impresa che progetta il fallimento della sua società per continuare a far danni con un altro cappello...
Del resto non è che con i governi dei “tecnici” le cose siano andate molto meglio: come diceva una signora in un mercatino a Trastevere l’anno scorso “ad aumentà le tasse so’ bboni tutti!”…
Quello che ci resta da sperare è che gli attuali politici italiani vengano totalmente spazzati via da una classe dirigente che abbia come obiettivo primario il lavorare seriamente al servizio del paese. Una nuova classe dirigente che, per inciso, al momento sembrerebbe non essersi ancora presentata…
Axel

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