di fr. Luigi Carrillo
Frate minore conventuale, si è laureato in teologia presso la facoltà teologica di Assisi nel 2004 con la tesi: “Le miniature nelle opere teologiche di Ildegarda di Bingen (una riflessione storica, artistica e teologica del Ms. 1 Scivias e del Codice mansi 1942 del Liber Divinorum Operum)”. Studioso di S. Ildegarda dal 1996, è stato socio onorario e membro attivo del Centro Studi S. Ildegarda di Milano, all’attivo ha due saggi pubblicati: Ildegarda la Profetessa e Le città Simboliche in Ildegarda di Bingen sulla rivista “Città di Vita”. Attualmente sta traducendo l’epistolario completo della Santa.
Ildegarda allo scrittoio – miniatura dal Liber Divinorum Operum, Ms. 1942 – Lucca, Biblioteca Statale.
Ultima di dieci figli, era nata nel 1098 a Bermersheim, presso Alzey nell’Assia Renana, non lontano dall’importante sede arcivescovile di Magonza, dai nobili Ildeberto, ministerialis del vescovo di Spira, e Metilde.
Dimostrò fin dall’infanzia una salute estremamente cagionevole, che la costrinse spesso a trascorrere lunghi periodi a letto. Ma quello che davvero rendeva la bambina straordinaria era il dono della visione da lei manifestato sin dai primi anni di vita.
Nel 1106 all’età di otto anni, venne offerta dai genitori alla vita spirituale, secondo la consuetudine del tempo. Presso l’eremo vicino al monastero benedettino di S. Disibodio sito sul monte omonimo, il Disibodemberg, in una celletta, si era ritirata a vita eremitica Giuditta sorella del conte di Spanheim. Ella dunque accolse Ildegarda, dandole una formazione culturale e spirituale sia per quanto concerne l’abilità nel compiere lavori manuali, sia per lo studio e l’approfondimento della Sacra Scrittura attraverso la recita del Salterio.
Verso i quindici anni tra il 1112 e il 1115, la giovane Ildegarda scelse liberamente la vita monastica secondo la Regola di San Benedetto, e ricevette la consecratio virginum prendendo il velo dalle mani del vescovo Ottone di Bamberga che in quel periodo reggeva la diocesi di Magonza, poiché l’imperatore Enrico V aveva incarcerato l’arcivescovo Adalberto.
Durante tutti gli anni del suo apprendistato, fu soggetta a continue visioni che ella per paura e timidezza taceva. Solo la Maestra Giuditta era a conoscenza delle visioni che Ildegarda teneva generalmente nascoste. Ildegarda in seguito si confidò con un “monaco fidato”: Wolmar, che sarebbe divenuto la sua guida spirituale negli anni successivi e l’avrebbe assistita nella stesura delle sue opere.
Alla morte di Giuditta nel 1136, venne eletta capo della piccola comunità, ereditando la funzione di magistra. La scelta delle consorelle fu unanime, questo significa che la forza di carattere di Ildegarda e la capacità di comprensione e di intervento nella realtà erano già apprezzate all’interno della sua comunità.
Ildegarda e Volmar – miniatura dal Liber Divinorum Operum, Ms. 1942 – Lucca, Biblioteca Statale.
Nonostante tutto, le visioni continuavano ad essere un suo tormentato segreto. La mutata situazione personale e la raggiunta maturità danno infine a Ildegarda il coraggio per rendere manifesta l’esperienza visionaria. Si consiglia con Wolmar e dietro suo suggerimento inizia ad annotare il contenuto delle sue visioni.
Il bisogno di comunicare le visioni, diviene consapevolezza del proprio compito. Nel 1141, decide di mettere mano alla sua prima grande opera lo Scivias, assistita da Wolmar nella scrittura di questa e delle opere successive. Al lavoro di scrittura presta il suo aiuto anche una giovane monaca, Richardis von Stade. Negli stessi anni in cui era occupata a scrivere lo Scivias iniziò anche la sua produzione musicale . La fama raggiunta da Ildegarda, si sparse in breve tempo, attirando così al monastero di Disibodemberg numerose giovani di famiglia aristocratica. La necessità di fare spazio a una comunità sempre più numerosa imprime una svolta alla vita di Ildegarda, che in una visione riceve l’ordine di trasferire le sue monache in una fondazione indipendente. Il progetto viene fortemente osteggiato dai monaci del Disibodemberg, determinando un nuovo episodio di crisi nella salute della badessa. Alla fine di un lungo periodo di difficoltà, nel 1147, Ildegarda con diciotto monache riesce a trasferirsi nel nuovo monastero di San Ruperto, situato sulla collina omonima, sulle rive del fiume Reno, grazie anche alla potente intercessione della marchesa von Stade, madre della monaca Richardis.
Ildegarda con Volmar e l’allieva Richardis – miniatura dal Liber Divinorum Operum, Ms. 1942 – Lucca, Biblioteca Statale.
Nel frattempo la stesura dello Scivias prosegue, sia pure con molta lentezza a motivo dei suoi numerosi doveri che la funzione di badessa le impone. Inoltre il contenuto del libro, che viene delineandosi come una vera e propria lettura teologica degli avvenimenti del tempo, richiede di sollecitare un autorevole avallo alla sua divulgazione. Si rivolse perciò a Bernardo di Chiaravalle famoso abate cistercense scrivendogli una lettera carica di umana apprensione, assalita dai dubbi per le sue visioni.
Bernardo assai occupato, donò a Ildegarda ciò di cui ella aveva bisogno. La lettera che le scrive è breve ma molto densa, assicura Ildegarda della sua preghiera e la fa sentire di essere convinto dell’autenticità della sua umiltà, ed esprime la propria partecipazione alla gioia del dono di grazia che ha ricevuto.
Sapendo che gli uomini sono indotti in tentazione, la mette in guardia contro il pericolo della presunzione e la esorta a umile dedizione. Riconoscendo l’illuminazione di costei, si risparmia ogni ulteriore istruzione. Oltre a Bernardo anche la Chiesa di Magonza, sotto la cui giurisdizione si trovava la fondazione di Ildegarda, intervenne per sostenere la sua richiesta. Infatti, dal 30 novembre del 1147 al febbraio 1148, Papa Eugenio III tenne un Sinodo nella sede arcivescovile di Treviri, fu presentato il caso di Ildegarda, e il Papa stesso, lesse davanti all’assemblea riunita, alcuni brani del libro dello Scivias non ancora ultimato. Nel 1151 venne concluso lo Scivias. In quello stesso anno Papa Eugenio riconosce in una lettera a Ildegarda la diffusione della sua fama e affermando che la pienezza dell’amore di Dio riempie il cuore di lei. Negli anni successivi alla fondazione del monastero sul Rupertsberg tra il 1152 – 1163 l’attività di Ildegarda, prima concentrata all’interno del monastero, comincia a rivolgersi anche all’esterno, con scambi epistolari e frequenti viaggi. In tutti i suoi interventi è evidente la preoccupazione riformatrice nei confronti della politica imperiale, ma soprattutto della Chiesa, percorsa in quell’epoca da spinte diverse e contrastanti: il pauperismo dei movimenti spirituali; le eresie, il profetismo, preoccupazioni che riemergono nelle sue opere profetiche.
Personificazione della Chiesa – miniatura dallo Scivias.
All’epoca di Ildegarda il genere epistolare era uno strumento per divulgare, un messaggio di interesse pubblico. Le lettere della badessa presentano anche un risvolto personale e ci permettono di percepire la gradualità con cui Ildegarda elabora ulteriormente la consapevolezza della propria missione, dalla timidezza iniziale all’assoluta fermezza. Ha scambi epistolari con i papi Eugenio III, Adriano IV, Alessandro III, ora esortandoli a compiere il loro dovere, ora minacciandoli di castighi divini. Di notevole interesse sono le lettere che alcuni imperatori e regine inviano a Ildegarda, dove suppliche, preghiere, predizioni, sono le richieste che affollano quasi sempre il folto epistolario. Ella non nega a nessuno la sua parola, ora ammonisce il giovane re Enrico II d’Inghilterra, di cui presagisce lo sfrenato orgoglio a non credere che l’ossequio della giustizia sminuisca la potenza regale dono divino, ora esorta la regina Eleonora d’Aquitania ad essere paziente nella tribolazione, così come Berta regina dei Greci e Irene di Costantinopoli.
Ma la corrispondenza senza dubbio più importante è quella tra Ildegarda e i componenti della famiglia Imperiale degli Hohenstaufen soprattutto con il temibile Federico I detto il Barbarossa. Eletto Imperatore nel 1152, Ildegarda gli scrive congratulandosi e offrendogli consiglio.
L’imperatore che si sentiva chiamato a rinnovare il sistema dei Carolingi e degli Ottoni sia nella Chiesa che nell’Impero, si riteneva non solo di rappresentare il supremo potere secolare, ma anche di essere sovrano voluto da Dio per proteggere le istituzione ecclesiastiche. Alla morte di Adriano IV, il collegio cardinalizio non concorde al suo interno elesse Alessandro III. L’imperatore sfruttò le tensioni di Roma e introdusse Vittorio IV come antipapa, iniziando uno scisma che durò ben diciassette anni, durante il quale elesse altri due antipapi provocando discordie e divisioni all’interno della Chiesa. Sicura del divino compito affidatole, Ildegarda trovò il coraggio di ricordare all’imperatore la sua responsabilità nei confronti di Dio, suo mandatario, e i suoi doveri nei confronti del popolo a lui affidato. Pochi anni dopo, dato che l’imperatore si ostinava a seguire la sua politica, Ildegarda gli inviò un’ultima ammonizione dove minacciava il castigo divino sull’imperatore: impressionante documento della contrapposizione tra il giudizio divino e l’apparenza umana .
Lotta tra il bene e il male – miniatura dal Liber Divinorum operum, Ms. 1942 – Lucca, Biblioteca Statale.
In questo periodo iniziano anche i viaggi, i suoi spostamenti sono molti ampi: tocca Treviri, Colonia, Magonza, Krauftal, Bamberga, Andernach, forse Parigi e altre località; i soggiorni della badessa sono sempre più caratterizzati dall’attività, assolutamente eccezionale per una donna, la predicazione. I contatti con le comunità monastiche danno luogo a successivi scambi epistolari, nei quali i legami istituiti si consolidano. Oltre a occuparsi dell’amministrazione del monastero, viaggiare e intrattenere rapporti di ordine politico e spirituali, Ildegarda intensifica la sua produzione scritta. Tra il 1153-1156, si colloca la stesura dell’enciclopedia naturalistico-medica, il Liber subtilitatum diversarum creaturarum e Causae et Curae le opere dedicate al mondo naturale non fanno esplicito riferimento alla modalità visionaria della conoscenza, tuttavia la peculiarità del suo sguardo si manifesta anche in esse. Le caratteristiche degli alberi, erbe, animali sono infatti enunciate con l’intento di ritrovare nella qualità più nascoste e quasi invisibili del mondo creato la chiave per la salute della creatura umana, che l’ha perduta con il peccato originale, condannandosi alla fatica e alla sofferenza conseguenza della scissione introdotta fra corpo e anima.
La riparazione di questa scissione è il tema di fondo che unifica le opere profetiche, le opere scientifiche e musicali, ed è il motivo che ispira la sua attività di consigliera spirituale e guaritrice di corpi. Questa unità di ispirazione è confermata dal prologo del Liber vitae meritorum la cui stesura, che chiude questo laborioso periodo, ha inizio nel 1158 e terminato nel 1163. La riflessione profetica sulle problematiche che l’umanità deve affrontare nel suo viaggio terreno è il tema centrale del libro. A differenza delle altre due opere profetiche, non esistono manoscritti miniati che illustrino le visioni. Nelle sei visioni che ne costituiscono l’ossatura, descrivendo un uomo di statura immensa che abbraccia il cosmo nella sua interezza, Ildegarda analizza in maniera dettagliata i vizi che producono l’attaccamento delle creature umane alla vita terrena e le virtù per vincerli; non si tratta però di una ripresa del tema classico della psicomachia, poiché l’attenzione è concentrata sui vizi. Come nelle ultime visioni dello Scivias, l’immagine dell’uomo si muove, volgendosi verso i quattro punti cardinali e osservando i luoghi della luce e delle tenebre; alcuni particolari della visualizzazione si aggiungono inoltre nel corso delle spiegazioni. Intorno al 1163, Ildegarda cominciò a comporre la sua terza e ultima opera il Liber Divinorum operum che fu completato soltanto nel 1174 perché subì diverse interruzioni . In esso si raccoglie in un disegno complesso ma unitario tutto il sapere e l’esperienza della badessa, ormai molto vecchia ma ancora capace di impegnare le sue energie in un progetto di ampio respiro. A questo periodo risale, nel 1165, la fondazione di un secondo monastero a Eibingen, non lontano dal Rupertsberg. Le due fondazioni, sulle sponde opposte del fiume Reno, mantennero stretti rapporti; Ildegarda visitava due volte la settimana il nuovo monastero, attraversando il fiume su una piccola imbarcazione.
Il ciclo delle stagioni – miniatura dal Liber Divinorum operum, Ms. 1942 – Lucca, Biblioteca Statale.
Nel 1173 muore Wolmar, prima della conclusione del Liber Divinorum operum, e Ildegarda viene aiutata nella stesura finale dell’opera dall’abate Ludwig di Sant’Eucario di Treviri e da Wezelin, prevosto di Sant’Andrea a Colonia come sappiamo dall’epilogo dell’opera. L’anno successivo alla morte di Wolmar, Goffredo, monaco dell’abbazia di Disibodemberg, assume il compito che era stato di Wolmar e inizia a scrivere la biografia della badessa, di cui redige la prima parte inserendovi passi tratti dal testo dettato fra il 1170 e il 1173 al primo segretario. A questo scritto fa riferimento anche Gilberto di Gembloux, monaco dell’abbazia di Villers, che intreccia una fitta corrispondenza con Ildegarda a partire dal 1175 e nel 1177 ne diviene a sua volta segretario. Anch’egli lavorò alla biografia ildegardiana, ma il secondo e il terzo libro della Vita iniziata da Goffredo, furono redatti successivamente da un altro monaco, Teodorico di Echternach.
Il rapporto con Gilberto di Gembloux si allargò alla sua comunità d’origine, Santa Maria di Villers nel Brabante, cui Ildegarda invia in dono un manoscritto prodotto nel 1175 a Rupertsberg. La fedeltà alla propria ispirazione spirituale e all’ambito sociale cui apparteneva costò a Ildegarda l’esperienza più amara della sua vecchiaia, nell’anno precedente la morte. Nel cimitero di Rupertsberg, che godeva del beneficio della sepoltura dei nobili, era stato seppellito un aristocratico sul cui capo da tempo pendeva la scomunica. Il clero di Magonza, saputa la cosa, ordinò che la salma fosse subito esumata e posta fuori del sacro recinto. Ildegarda replicò che quel tale in punto di morte si era riconciliato con la Chiesa e aveva ricevuto i sacramenti. Dura fu la risposta che giunse da Magonza: Ildegarda, unitamente alla sua famiglia monacale, era colpita da interdetto che consisteva nella proibizione del culto e del suono delle campane, nella recita dell’Ufficio senza musica a voce sommessa e a porte chiuse. Essa rifiutò di obbedire e, dopo aver tracciato col suo bastone il segno della croce sulla tomba, n’eliminò ogni traccia che potesse farla riconoscere fra le altre, affermando che la “luce vivente” le aveva detto che obbedire ai prelati, violando la sepoltura, avrebbe significato disobbedire a Dio.
Sicura di avere ragione e di meritare giustizia, scrisse una lunga lettera contenente un’esposizione dettagliata degli avvenimenti, all’arcivescovo di Magonza Cristiano I che, all’epoca, si trovava a Roma per i lavori del concilio Lateranense III. Fu promossa un’inchiesta per l’accertamento dei fatti e, alla fine di marzo dello stesso anno, l’interdetto fu revocato. Lo scontro con i prelati di Magonza finì col fiaccare il suo corpo gia esile e sofferente, per cui trascorse quasi sempre a letto gli ultimi mesi di vita. Dopo aver predetto alle sue monache la prossima fine che le era stata rivelata da Dio, Ildegarda muore il 17 Settembre del 1179.
Bibliografia
Ildegarda di Bingen, Scivias: il nuovo cielo e la nuova terra, a cura di Giovanna della Croce (OCD.) e di B. Hozeski, Libreria Editrice Vaticana, 2002;
Id., Il libro delle opere divine. Testo latino a fronte, a cura di M. Cristiani e M. Pereira, Mondadori 2003;
Id., Il centro della ruota: spiegazione della Regola di San Benedetto, a cura di A. Carlevaris, Mimesis Edizioni, 1997;
Id., Come per lucido specchio: Libro dei meriti di vita, a cura di L. Ghiringhelli, Mimesis Edizioni, 1998;
Id., Fisica. Gli aspetti sottili delle nature diverse delle creature, a cura di A. Campanini, Carocci, 2011;
Id., Cause e cure delle infermità, a cura di P. Calef, Sellerio Editore, 1997;
Id., Ordo virtutum: il cammino di Anima verso la salvezza, a cura di M. Tabaglio, Il Segno dei Gabrieli, 1999;
Régine Pernoud, Storia e visioni di sant’Ildegarda. L’enigmatica vita di un’umile monaca del Medioevo che divenne confidente di papi e imperatori, Piemme, 1996.