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Genio e metodo nel mestiere dello scrittore

Creato il 26 luglio 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Genio e metodo nel mestiere dello scrittore
A leggere qualche intervento, o qualche commento, c’è per noi di che rabbrividire. Si prefigura, forse talora si auspica, un mercato editoriale riservato a pochi grandi autori dal talento riconosciuto, una decrescita della produzione che sia soprattutto l’abolizione di chi non ha la patente in regola, la scomparsa dell’editoria come industria, l’eliminazione (o la marginalizzazione) del lavoro redazionale e del ruolo dell’editor, l’editoria a pagamento o l’autoproduzione come uniche risorse per i velleitari aspiranti autori che non si sono ancora fatti un nome.
Per la nostra stessa natura, e per le scelte che abbiamo fatto, mi pare sia superfluo rientrare ora nel merito di alcune questioni o, peggio, difendere il ruolo dell’editor, del piccolo editore e la funzione delle redazioni: sono, semmai, controdeduzioni che si esprimono attraverso il lavoro e guardando al risultato finale, unico giudice dell’utilità o meno di quanto fatto. Ma mi sembra interessante porre qualche elemento di riflessione, più in forma di domanda che di risposta, per quanto riguarda il talento dello scrittore e l’idea che solo pochi, pochissimi, autori meritino tale titolo e il diritto alla pubblicazione.
Anzitutto: è vero che i geni esistono, ma anche i grandi geni coltivano con metodo la propria arte. E un’opera di grande e riconosciuto valore non sgorga spontanea, ma è frutto di una limatura e di un ripensamento continuo, di un lavorio durato a volte anni o decenni. Basti pensare ai Promessi Sposi e al Manzoni, alla risciacquatura dei panni in Arno per fare del Fermo e Lucia originario un’opera più al passo coi tempi e meno regionale (magari forzando il concetto fino a far dire al contadino lecchese Renzo Tramaglino “posso aver fallato”); un’opera di revisione che, per Manzoni come per tanti altri monumenti della letteratura mondiale, spesso non è stata compiuta in solitario. Possiamo quindi pensare che il talento vada affinato e che i contributi esterni, che nei secoli hanno preso forme diverse, non siano una violenza al genuino talento dell’artefice?
In secondo luogo: chi attribuisce la patente di genio e chi si incarica di stabilire che cosa è arte? La storia, non solo della letteratura, è piena di geni misconosciuti, magari perché troppo in anticipo sui tempi. E, soprattutto, esistono, con pieno diritto, i gusti personali dei lettori. Grandi maestri risultano del tutto illeggibili a lettori non illetterati, ma semplicemente con una sensibilità che mal si accorda con quella del maestro in questione. Fare “buona” letteratura è relativamente semplice, perché ciò che è davvero “cattivo” si riconosce con facilità. Ma arrogarsi il diritto di scegliere solo capolavori, non rischia di diventare un arbitrio tale da non poter essere, nella pratica, esercitato da alcuno?
Nell’individuazione del grande talento letterario, quanto pesa la forma e quanto il contenuto? Noi abbiamo fatto una scelta editoriale chiara, in cui privilegiamo l’idea creativa e la capacità di darle una forma strutturale, riservandoci di collaborare con l’autore nella migliore e più adatta definizione stilistica e narrativa. Per esperienza diretta, ho la sensazione che alcune opere, volte a magnificare essenzialmente il talento formale e stilistico dell’autore, risultino poi alla lettura mere esercitazioni, prive di anima e di contenuto. Non è un rischio che si corre, quando si sottolinea con enfasi la necessità di un’alta qualità stilistica nella produzione letteraria?
E, infine, poiché non possiamo non fare i conti con il fatto che non viviamo in una dimensione acronica, quali sono, nei nostri tempi, i talenti che dovrebbe possedere il “vero scrittore”? L’intuizione creativa che genera l’idea? La sensibilità di cogliere il particolare che può trasformarsi in narrazione? La capacità di strutturare una storia da raccontare, dandole sostanza? L’arte di narrare con uno stile limpido e trascinante? La virtù affabulatoria che consente di presentarsi al pubblico e promuovere sé e l’opera nei necessari contesti? L’abilità nel costruire il personaggio che genera curiosità e affezione? Si tratta di aspetti diversi, forse non tutti necessari, difficilmente tutti presenti in una sola persona; eppure tutti richiesti, in qualche modo, all’autore contemporaneo (e, più in generale, all’artista contemporaneo: di qualunque arte si parli).
Ovviamente noi abbiamo fatto le nostre scelte, già più volte spiegate. Su queste scelte, attraverso le mille forme possibili della commercializzazione e della comunicazione, misuriamo quotidianamente il riscontro, l’approvazione, il dissenso o il disinteresse.
In ogni caso, per quanto siano scelte di cui siamo fermamente convinti, non ci sogneremmo mai di dire, con tranciante sentenza definitiva, che il nostro è il solo modo di fare editoria. Ma, per contro, crediamo che questo nostro modo abbia pieno diritto di cittadinanza.


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