Il godimento, l’esercizio e l’ostensione dei processi e delle prerogative emanazione di una determinata cultura o comunità, non devono né dovrebbero mai, quando e se confinati nel perimetro del buongusto, della discrezione e del rispetto, essere percepiti come una violazione dei diritti dell’altro ma, al contrario, come una prassi della democrazia, della condivisione e del dettato liberale. L’espulsione della formula “padre” e “madre” dal sistema normativo del linguaggio istituzionale, si annuncia come una discriminazione ai danni di una comunità (la piattaforma genitoriale eterosessuale) a (presunto) vantaggio di un’altra (la piattaforma genitoriale di tipo omosessuale che, ricordiamo, ha già insita in sé la determinazione ruolistica ). Privando la prima di un diritto formale senza consegnare una contropartita alla seconda, gli ideatori ed attuatori del progetto dimostrano, ancora una volta, di promuovere e sussidiare la cultura dell’esclusione e della prevaricazione omologante nel tentativo, paradossale, di evitarle e scongiurarle.
Ps. La stessa cosa vale per l’elemento religioso.