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Genitori e sport: il declino del calcio tra fallimento e passione
Creato il 17 luglio 2014 da Giuseppe Avignone @gavignoneGiardini Pubblici - 1984 "Tua figlia ha iniziato quest'anno con la danza?""Si, è il primo anno. E tuo figlio?""Cosa vuoi che ti dica, da settembre inizia con gli esordienti. Giorno e notte gioca con quel pallone, cosa potrebbe fare d'altro""Lo stesso per il mio, d'altronde sono maschietti".
Parco giochi - 2014"Il prossimo anno tua figlia continuerà con la ginnastica, vero?""Senz'altro, invece dal prossimo anno dovrò pensare a cosa far fare al fratellino""Mio figlio inizierà con la piscina e forse una volta a settimana farà arrampicata""Pensavo al basket, ma non saprei""E il calcio?""No, è un brutto ambiente e troppo competitivo. E se poi non fosse all'altezza e rimanesse sempre in panchina? Ne soffrirebbe""Si, hai ragione, non esiste mica solo il calcio nella vita"
Ecco come è cambiato il mondo negli ultimi trent'anni. Sono cambiati i figli o i genitori? Una volta per i bambini non c'era un'alternativa valida al calcio perché non esisteva una competizione altrettanto stimolante sotto tutti i punti di vista: sport vincente, praticabile ovunque e sbocco sociale garantito. Adesso, invece, troppi dubbi assalgono i genitori.
È uno sport sano? È atleticamente e fisicamente utile ed esercitabile per la maggior parte all'aria aperta.
È pericoloso? Non più di sport come il ciclismo, il tennis e lo sci e al pari di basket e pallavolo.
Ha controindicazioni nella socializzazione? Sicuramente no. Non è uno sport singolo, ha regole disciplinari da dover rispettare ed ha obiettivi comuni da dover condividere con i compagni di squadra, che poi nella maggior parte dei casi lo diventano anche nella vita.
Allora perché tanti dubbi da parte degli adulti? Ciò che lascia perplessi molti genitori è l'esasperata competizione e la paura di un insuccesso in quello che per molti è il 'benchmark' e cioè il metro di paragone. Impossibile o inaccettabile che il proprio figlio sappia farlo peggio (o non sappia farlo affatto) di altri: il fallimento deprimerebbe i genitori e ricadrebbe sugli stessi figli.
Fallire in un altro sport avrebbe meno valore: meno concorrenti in lizza e scarsa eco mediatica o comunicativa. Purtroppo, i genitori non danno giusto valore alla parola "fallimento". Se ciò è la conseguenza del mancato approdo al professionismo allora parliamo di genitori maniaci che nulla hanno a che fare con questo discorso.
Se invece il fallimento è rappresentato dalla paura che i figli non siano capaci di accettare la sconfitta sul campo (o addirittura dalla panchina) allora parliamo di genitori che li spingono (o costringono) verso uno sport non alla ricerca di una passione, ma di una qualunque attività capace di impegnare i vuoti pomeridiani.
Perché i ragazzi oggi devono andare a nuoto, fare un secondo sport, suonare uno strumento musicale, fare i compiti ed andare a catechismo e tutto questo compresso in una settimana. Una volta il menù era diverso: calcio, compiti, calcio e poco altro.
Anche in passato c'erano genitori che provavano ad indirizzare i figli verso altri sport, ma dopo un iniziale tentativo quasi tutti ritornavano sui propri passi ed i ragazzi riprendevano a venerare la "Dea del Pallone" (chiedendole perdono per il temporaneo abbandono) al di là delle capacità, senza la minima speranza di avere successo e la convinzione di poter eccellere, ma per il solo gusto di 'giocare' e correre liberamente.
Oggi, tutto è cambiato ed inevitabilmente quanto amplifica la tv in merito alle negatività del mondo del calcio (dal tifo violento alle scommesse clandestine) non può che alimentare i dubbi familiari e fungere da giustificazione in caso di rifiuto. Tutto vero, ma si tratta di una distorsione che non può che coinvolgere uno degli sport più esposti al business ed agli affari.
Non nascondendo i lati oscuri ed i rischi connessi, il calcio rimane il gioco più bello in assoluto, quello delle abrasioni sull'asfalto, delle interminabili partite giocate fino al crepuscolo, dei calzoncini sporchi di fango ed erba, delle condizioni metereologiche più assurde, degli scherzi di spogliatoio, delle liti in campo e fuori, delle sconfitte cocenti e delle vittorie inattese, degli errori arbitrali subiti e dei gol sbagliati sotto porta.
Tuttavia, non sono queste parole che possono o devono convincere mamme o papà preoccupati dalle imprevedibilità e dai difetti di questo gioco, ma soltanto gli occhi dei loro ragazzi alla vista di un pallone da calcio, un sogno che si realizza ed una scommessa immaginaria sul proprio futuro.
In attesa di capire se ad essere cambiati sono i figli (svogliati) o i genitori (frustrati), corro a preparare sapientemente il solito borsone da calcio, che mi accompagna nelle serate con gli amici, quelli con cui divido una passione unica fatta di gioie, sfottò e tante tante risate, che anche il più acerrimo dei nemici e cioè il tempo non sarà mai in grado di cancellare.
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