Questa è l’intervento che Marco Trotta, mediattivista, ha letto l’altra sera in Piazza Maggiore a Bologna, prima della proiezione di un frammento di Bella Ciao di Marco Giusti e poi della presentazione del film Noi credevamo con Francesco Martone. Segnalo inoltre, sugli stessi temi, il dossier Genova 2001-2011 di Altreconomia. Al termine dell’articolo il video di Sitron Via Cesare Battisti (21.07.2001).
E’ stata una bella serata grazie a Gianluca Farinelli che ha offerto questa possibilità e a Francesco Martone stesso che ha avuto parole forti su riprendendo l’argomento: “Genova ha dato la possibilità di far politica ad una intera generazione. Il mio film riguarda l’idea di incompiutezza della democrazia che attraversa il paese dal risorgimento fino a Genova attraversata dal manifestarsi del potere in maniera repressiva”.
Le immagini che vedrete tra un po’ fanno parte di un racconto di Genova iniziato dieci fa. Un racconto a più voci, fatto di migliaia di videocamere e macchine fotografiche, che insieme alle testimonianze di chi c’era hanno saputo dare al paese un altro modo di vedere quei giorni.
Perché Genova è stata soprattutto questo: una manifestazione diffusa e generale, in tutto il paese, la prima davvero internazionale, che ha visto l’incontro di centinaia di migliaia di persone diverse per età, condizione sociale, biografia e percorsi politici. Persone che contestavano un modello sociale ed economico ingiusto che cancellava diritti e metteva in vendita tutto il resto. Una risposta democratica che sanciva la partecipazione, per la prima volta, di una intera generazione, quella cresciuta politicamente negli anni ’80 e ’90 e al ritorno all’impegno di molte altre persone. Per sé e per il futuro.
Il 16 luglio di 10 anni fa vicino al porto di Genova cominciava il forum dove per la prima volta si parlava di acqua come bene comune avviando quel percorso che poi ha portato ai vittoriosi referendum del 12 e 13 giugno. E ancora si denunciava la speculazione finanziaria e le pratiche di sfruttamento del lavoro che arricchivano pochi e minavano le basi della convinvenza civile come poi abbiamo visto con la crisi e la precarietà.
Non solo, si denunciava la crisi delle istituzioni democratiche più attente ai diktat del mercato che alle richieste dei cittadini. E dopo la finanziaria che si sta discutendo in queste ore in parlamento torniamo a chiederci: in quale democrazia viviamo se si sceglie di far pagare il conto di questo fallimento alle fasce più deboli privatizzado i servizi e tagliando il welfare, ma lasciando intatte rendite, sprechi e spese militari perché è quello che ci chiedono le banche, l’Europa e i mercati?
Per questo Genova fa anche paura. Perché rispetto a queste domande di partecipazione e di democrazia la risposta fu “la più grande violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente” come ebbe a scrivere Amnesty International. “Un tentativo di golpe del governo fortunatamente andato fallito” come ha scritto più di recente Andrea Camilleri che in alcuni casi è stato risolto con l’archiviazione di processi imbarazzanti, come sarebbe potuto essere quello per l’assassinio di Carlo Giuliani, e in altri, nel silenzio e al volte nel depistaggio di media e politica, è stato messo in evidenza con il processo e la condanna in gradi diversi dei massimi dirigenti delle forze dell’ordine per la Diaz e Bolzaneto.
Fatti per “i quali lo Stato non ha ancora chiesto scusa” come ha denunciato il procuratore capo di Genova, Di Noto, e sui quali invece c’è il rischio della prescrizione perché in Italia non abbiamo mai ratificato il reato di tortura. E quindi Genova fa ancora paura perché come potremmo chiamare diversamente quella che abbiamo visto sulla pelle di quei manifestanti colpiti da una repressione generalizzata in Val di Susa e che nei giorni successivi hanno reso pubbliche le loro testimonianze?
Per questo motivo Genova è ancora attuale. Perché quei drammatici avvenimenti non hanno fermato la partecipazione. Anzi. Perché continua a porre domande e a chiedere di trovare soluzioni tutti insieme, impegnandosi in prima persona. Come è successo in questi anni nelle università e tra le fabbriche, a chi lotta contro la precarietà come tratto distintivo di una generazione e tremendo presagio di futuro per tutti, con le mobilitazioni delle donne in difesa della loro dignità, con quelle dei migranti che sono saliti sulle gru per chiedere rispetto e diritti, come sta chiedendo chi denuncia i cambiamenti climatici e la crisi ambientale e non aspetta che le soluzioni vengano dall’alto.
Di tutto questo si sta discutendo a Genova che ci aspetta tutte e tutti alla manifestazione di sabato 23. Perché nulla è stato più come prima e un altro mondo è ancora possibile. E oggi ancor più necessario.