Genova Film Festival 2013: Incrocio di sguardi

Creato il 26 agosto 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Dall’1 al 7 luglio 2013 si è svolta la 16/a edizione del Genova Film Festival, evento cinematografico che pur tra difficoltà immense, dovute a un progressivo venir meno dei finanziamenti, continua a regalare molto agli appassionati, liguri e non. Eppure, se tanti festival cinematografici di qualità boccheggiano, ormai, per lo scarso sostegno offerto dalle istituzioni, il calendario appare comunque fitto, quasi congestionato, ed è talvolta difficile riuscire a orientarsi. Se ad esempio negli anni passati avevo potuto trattenermi a Genova per gran parte del periodo, il fatto che sia stato anticipato ai primi di luglio un altro appuntamento prezioso e accattivante, quello con il Figari Film Fest, ha fatto sì che nella settimana in questione provassi a dividermi tra Sardegna e Liguria. Per fortuna treni una volta tanto puntuali, convenzioni coi traghetti e un certo spirito di adattamento mi hanno assistito nell’impresa.

Con solo due giorni a disposizione, ho dovuto ovviamente rinunciare alla consueta “full immersion” nel variegato programma del Genova FF. Eppure, non sono certo mancate le suggestioni e qualche spunto su cui riflettere, anche in un tempo così concentrato. Sfruttandolo al meglio, questo tempo, ho avuto comunque modo di buttare l’occhio sul palcoscenico principale del festival ligure, ovvero quel Concorso Nazionale Cortometraggi e Documentari che ha sempre dato buoni frutti, soprattutto sul fronte documentaristico. Ma anche tra i lavori di fiction si è pescato quest’anno qualcosa di buono. Su tutti Oroverde, affresco dolente e di rara intensità dei tumulti scoppiati in un consorzio del tabacco all’epoca del Ventennio fascista. Nel corto di Pierluigi Ferrandini la validità delle ragioni sociali si intreccia con uno stile arioso, visivamente curato, che si avvale peraltro di buoni interpreti: non è un caso che la giovanissima e grintosa Rebecca Metcalf sia stata poi premiata, quasi in contemporanea, al Figari Film Fest.

Un cortometraggio di finzione dalle tonalità ben diverse e che merita parimenti di esser citato è La Legge di Jennifer. Rispetto a Oroverde è come passare dalla tragedia alla farsa. A ben vedere, però, qualche elemento di natura sociale si fa strada lo stesso, nella dichiarata leggerezza del piccolo film diretto da Alessandro Capitani: difatti la paura della piccola Jennifer di esser stata adottata va ad intrecciarsi, in maniera volutamente paradossale, ironica, con la fissazione di entrambi i genitori per gli interventi di chirurgia estetica. Un’ossessione che allude in modo divertito ma non così peregrino ai disagi di ordine psicologico, spesso presenti nella famiglia contemporanea. Come dicevamo in apertura, i documentari tendono ormai da parecchio a essere il fiore all’occhiello della kermesse genovese. Due ci hanno particolarmente colpito. In primis Lovebirds – Rebel Lovers in India di Gianpaolo Bigoli, che con modalità narrative di una certa efficacia (notevole anche il contributo di Mauro Crivelli alle musiche) ci introduce a un argomento insidioso, quello delle giovani coppie che nel subcontinente indiano si ribellano alle tradizioni, mettendo talora a rischio le proprie vite (o comunque la loro tranquillità famigliare), per un sogno d’amore contrario allo spirito delle caste. Meno brillante come conduzione registica, ma impreziosito dalle scene di pesca e quasi altrettanto stimolante sul piano sociologico è il documentario di Rossella Schillaci, Il limite. Le difficoltà economiche cui vanno incontro gli odierni pescatori del meridione, condizionati dai debiti come anche dalla contrazione del mercato ittico, si intrecciano qui con una ricognizione della comunità tunisina di Mazara del Vallo, tra le più forti e strutturate in Italia.

Con questo documentario sulla pesca è stato tutto sommato agevole prendere il largo. Tanto vale allora restare in mare. Giusto per segnalarvi l’attenzione così particolare che il Genova Film Festival ha rivolto, nel 2013 (anno che ha visto la vita cittadina sconvolta da uno spaventoso incidente marittimo), ai vari risvolti della realtà portuale e della navigazione, così come vengono rappresentati sullo schermo. Vi è stata innanzitutto l’apposita sezione, caratterizzata tanto da opere documentaristiche che di fiction, ribattezzata per l’occasione “Il porto oggi tra identità locali e reti globali”; una vetrina davvero interessante, questa, con tanto di giuria e di premio ufficiale assegnato poi al documentario di Vincenzo Mineo, Cargo, “Per la capacità di portare l’osservatore dentro un universo dove si intrecciano e si confondono vita e lavoro restituendo lo sguardo su una realtà altrimenti invisibile. Un viaggio su una rotta tracciata da uomini con i loro sogni, incubi, superstizioni e nostalgie che devono convivere con l’urgenza della pressione dei tubi, delle temperature da controllare, del mangiare, dei cavi d’ormeggio, tutto sostenuto da un’alta qualità delle riprese e da un montaggio raffinato.” E sempre a proposito di documentari ritengo che tra tanti contributi validi vada segnalato anche L’ultimo approdo. Storie di marittimi abbandonati, quantomeno per lo spirito di inchiesta che ha spinto gli autori (Anna Maria Selini, Emiliano Pappacena e Antonio Demma) ad approfondire vicende di ordinario sfruttamento dei marinai correlate ad allucinanti speculazioni e a torbidi casi giudiziari, tutti episodi poco conosciuti e difficili da immaginare per chi non abbia grossa confidenza con l’ambiente nautico.

Stefano Coccia


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