Torniamo a occuparci di Genova Film Festival, per parlare di un altro dei cortometraggi di fiction che ci hanno maggiormente colpito: Apnea notturna di Dennis Cabella e Marcello Ercole. Singolare che a presentarlo, durante la kermesse ligure, non ci fossero i due registi, bensì l’ispiratore di questo lavoro cinematografico emotivamente così intenso e tutt’altro che disprezzabile sul piano filosofico. A livello narrativo lo spunto iniziale appartiene infatti a Michele Lorefice, autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto il corto. Ed è stato proprio il giovane scrittore, subito dopo la proiezione, a interagire col pubblico e con gli organizzatori del festival, replicando generosamente alle varie curiosità espresse in sala.
La sensibilità di cui è permeato Apnea notturna rimanda all’esistenzialismo come anche allo shock sensoriale di mutazioni quasi kafkiane, nella dinamica, che in questo caso vedono avvicinarsi il protagonista alla condizione di un manichino. E la sorte di un manichino non sarà forse quella di finire in vetrina, sottoposto agli sguardi freddi e distratti dei passanti? Senza necessariamente rivelare altro, la portata metaforica del racconto appare già in tutta la sua evidenza, tra riferimenti al Velo di Maya introdotti dalla voce fuori campo e momenti di surrealismo puro, che durante il viaggio in metropolitana del giovane protagonista (lodevole qui l’espressività facciale dell’interprete Gabriele Lupo) assumono già tratti angosciosi, sconcertanti, fino a delineare una nuova realtà in cui l’umano cede il posto alla rigida conformità dei suoi simulacri.
Il corto è ambientato a Genova e l’immagine di una Piazza De Ferrari svuotata (in post-produzione) di presenze umane e riempita di manichini desta una certa impressione. Quasi fosse una tavola di De Chirico. Merito, questo, da attribuire alla penna di Michele Lorefice e alla traccia narrativa quanto mai valida che ha saputo offrire, così come al talento visivo di chi ne ha curato la realizzazione, facendo leva sullo studio di videoproduzioni “Illusion” e sull’esperienza lì accumulata.
Stefano Coccia