L’impatto era già stato forte quando lo avevamo intercettato, una prima volta, al Trieste Film Festival, dove era presente in quanto vincitore del Premio Corso Salani 2013. Ora che il festival ligure ci ha dato la possibilità di rivederlo, possiamo confermare che Arctic Spleen possiede un’insolita, singolare energia, una magia dello sguardo e del racconto la cui cupezza di fondo si trasfigura nel viaggio quasi ipnotico, attraverso contesti antropologici e naturali così lontani dal nostro da irretire lo spettatore, lasciandolo a tratti senza fiato. Tutto ciò, a nostro avviso, rende il lavoro di Piergiorgio Casotti uno dei documentari più potenti visti negli ultimi tempi, secondo in quanto a impatto emotivo soltanto al capolavoro assoluto dello statunitense Joshua Oppenheimer, ovvero The Act of Killing.
Musiche anch’esse ipnotiche in cui c’è la mano di Massimo Zamboni, cofondatore CCCP, ci accompagnano nella trasognata ricognizione di quei territori della Groenlandia orientale, in cui una sparuta popolazione di discendenza Inuit si confronta con paesaggi di incomparabile ma desolata bellezza, dove l’immensità degli spazi può paradossalmente generare claustrofobia e spingere verso solitudine, frustrazione, angoscia, morte. Poche immagini di repertorio ci riportano infatti a una colonizzazione danese avvenuta col consueto, deleterio mix di Vangelo e di alcol a buon mercato, di progresso e di annientamento dell’identità originaria. Sono contatti tra culture dagli sviluppi potenzialmente tragici e dai meccanismi non nuovi, per chi ha studiato la Storia per molti versi analoga dei nativi americani o dello stesso popolo Sami, volendo restare in Europa.
Negli ultimi decenni lo stridente confronto tra ataviche tradizioni locali e nuovi stili di vita, importati da fuori, si è tradotto in un confronto generazionale il cui esito si sta rivelando particolarmente nefasto: una serie pressoché infinita di suicidi giovanili, casi devastanti di alcolismo e continui abusi sui minori sono il pane quotidiano, in queste piccole comunità cui sono state tarpate le ali. La famiglia allargata, che era il nucleo di una società imperniata sulla difficile lotta per la sopravvivenza, cova ormai tanti di quei veleni, comportamenti violenti e sintomi di rassegnazione, da portare verso un tasso di suicidi assolutamente impressionante, impensabile altrove. Spinto anche da motivazioni personali, Piergiorgio Casotti ha sostato a lungo in questi centri abitati sviluppando una fitta rete di relazioni interpersonali, amicizie, contatti con le istituzioni locali. Il prodotto di tale ricerca è un diario filmico sospeso tra acute intuizioni psicologiche e umana empatia, tra conoscenza antropologica generale e ritratto intimo, vibrante, di pochi ma significativi personaggi. Un film assolutamente da vedere, insomma, sia per l’impronta visivamente forte che per il carattere stupefacente e sincero delle storie narrate.
Stefano Coccia