Genova: nasce la Silicon Valley italiana

Creato il 13 agosto 2013 da Antonioriccipv @antonioricci

Riporto l’articolo di Federico Rampini. Il rimpianto di non aver per tempo pensato per Pavia questa strada è tantissimo. Siamo però ancora in tempo anche se con grave ritardo.

Certo ci vuole la ferma volontà politica di crederci e di farlo:

“Asinistra l’orizzonte si chiude col monte di Portofino. A destra con la Punta Mele verso Alassio. Davanti, mare azzurro, sole e cielo terso: in una giornata limpida come oggi s’intravede la Corsica. È anche di queste cose che è fatta una Silicon Valley. Per aver vissuto tanti anni a San Francisco so che i ricercatori di Berkeley e Stanford, gli inventori di Palo Alto e Cupertino, non disdegnano il surf e le partite di beachvolley sulle spiagge da Santa Cruz a Monterrey.

E Genova ci prova: a diventare un polo d’attrazione di cervelli, per invertire la fuga dei talenti dall’Italia.

Anzi, ci sta riuscendo.

Tanti altri, nel mondo intero, hanno tentato di replicare una Silicon Valley in casa loro. Ne ho visto dei “cloni”, più o meno fortunati, a Shanghai e Singapore, a Bangalore e a Seul. Quello che a Genova hanno capito alcuni imprenditori visionari, come Carlo Castellano di Esaote, è che l’esperimento ha bisogno di un’alleanza solida tra pubblico e privato; che la ricerca scientifica deve dialogare con il mondo dell’impresa; che un polo di sviluppo scientifico-tecnologico ha bisogno di unire colossi multinazionali e minuscole start-up create dai giovani; e infine che tutto il territorio deve sentirsi coinvolto e partecipe nella sfida.

Qui a Erzelli, su un’altura che domina l’aeroporto Cristoforo Colombo, visito un pezzo d’Italia che rinasce, caparbiamente solleva la testa dopo cinque anni di crisi, e guarda molto lontano, progetta e costruisce una nuova vocazione globale. L’orizzonte è ampio, si spinge fino a includere il progetto “Genova 2021 città della tecnologia”. Per forza un’operazione simile deve avere respiro lungo. Questa nasce dalla creatività di alcuni “grandi vecchi” (over-70) e già passa le consegne a una generazione di trentenni. «Io di anni ne ho 76 — mi dice Giuseppe Rasero che dirige il Parco Scientifico e Tecnologico di Genova High Tech — e di questa cosa vedrò solo la prima fase. Siamo partiti bene: in una città che ha perso duecentomila abitanti nell’ultimo ventennio, noi ne riportiamo già 15.000, facendoli venire dal mondo intero».

Due realtà già ben visibili sono i palazzi che ospitano laboratori di ricerca costruiti dalla Ericcson svedese e dalla Siemens tedesca. Qui hanno trasferito, rispettivamente, 950 persone la Ericcson, 750 la Siemens. Seguirà ben presto Esaote, il gioiello multinazionale di Castellano, che fa elettronica per apparecchi biomedici. La giapponese Toshiba è in trattative per insediare qui un altro centro di ricerca.

Il 30 agosto verrà qui il presidente del Consiglio Enrico Letta. Lo ha preceduto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma nessuno è venuto a “tagliare nastri”, perché il Parco Scientifico e Tecnologico è un “work in progress”, un cantiere aperto in costante evoluzione, un’opera aperta, con pezzi che si aggregano di volta in volta. Dopotutto, per costruire la Silicon Valley californiana si cominciò con i pionieri dell’elettronica militare alla vigilia della seconda guerra mondiale: quando Bill Gates e Steve Jobs non erano neppure nati… Fra i trentenni che partecipano a questa creazione, mi fa da guida Maria Silva, responsabile dello sviluppo di Genova High Tech (Ght). Ingegnere milanese, con esperienze di studio e lavoro in California, la Silva mi accoglie sulla collina di Erzelli alla vigilia delle sue vacanze: che passerà in Mozambico a studiare nuovi progetti urbanistici e industriali. Con lei provo a immaginare cosa diventerà Erzelli, via via che i vari tasselli del progetto verranno ad aggiungersi. Siamo su un’altura a 120 metri sul livello del mare, esposta a Sud. L’area è immensa, quasi sorprendente per una città avara di spazio come Genova. Non a caso, prima quest’area fu adibita a deposito di container. 440.000 metri quadri, di cui oltre 220.000 destinati al verde pubblico: la definizione di Parco non è usurpata.

Proprio perché una vera Silicon Valley deve essere altamente vivibile, deve sprigionare fascino verso i giovani talenti del mondo intero, qui sorgeranno un lago, una pista per correre di 10 km, diversi campi sportivi all’aperto, palestre per fitness, ristoranti multietnici, asili nido, librerie, negozi di musica. La sola area verde e ricreativa occuperà lo spazio di dieci campi di calcio.

Per i collegamenti con Genova, dovrà entrare in funzione una funivia-cabinovia dalla nuova stazione ferroviaria che servirà anche l’aeroporto («E poi ribattezziamo lo scalo, per favore: con tutto il rispetto per Colombo, un aeroporto chiamato Portofino-Cinque Terre si venderebbe meglio nel mondo », suggerisce Rasero). La questione dei trasporti è vitale perché entro pochi anni si trasferirà qui tutta la facoltà di Ingegneria dell’università di Genova. «Con 84.000 metri quadri dedicati tutti all’insegnamento e alla ricerca — dice Maria Silva — l’università diventerà parte di un ecosistema capace di stimolare la creatività e l’innovazione attraverso l’incontro diretto tra scienziati, tecnologi, studenti, manager, imprenditori. Nascerà un gigantesco incubatore di idee, investimenti, occupazione qualificata. È proprio questa fertilizzazione incrociata, tra pubblico e privato, tra ricerca pura e applicazioni produttive, quella che finora tanti giovani italiani erano costretti a cercare all’estero».

Sono pochi i Parchi che uniscono scienza pura e industria. Pochissimi di dimensioni così vaste e nati dal nulla: il Pst di Genova è tra i primi 20 del mondo, capace di competere con il celebre Sophia Antipolis sulla vicina Riviera francese.

Un’altra trentenne, Elisabetta Migone, ingegnere meccanico, si occupa dei progetti di start-up, del Talent Garden che si aprirà ai giovani per il coworking, e degli accordi internazionali: l’hanno mandata a lungo a studiare poli tecnologici su altri continenti, da Pechino a Boston. «Anche per le multinazionali straniere è preziosa la vicinanza di giovani creativi — dice la Migone — non a caso nel palazzo della Ericcson c’è un Innovation Garage dove tutti sono invitati a presentare le proprie idee. This is the future, questo è il futuro, hanno commentato i top manager svedesi vedendo Erzelli».

La Migone va spesso in Cina anche per seguire un progetto che sta caro a Rasero: unire alle altre attività che sorgono qui a Erzelli un polo medico. La Regione Liguria con Claudio Burlando sta già progettando di creare un nuovo ospedale di ricerca proprio su questa collina. I cinesi sono interessati al progetto, soprattutto se avrà spazio quel filone di “medicina predittiva personalizzata” che fa prevenzione su misura, usando gli studi genetici che individuano le predisposizioni di ciascuno a particolari patologie.

La parte più delicata e avveniristica del Parco è quella che riguarda l’incubatore di startup. Due trentenni come Maria Silva ed Elisabetta Migone sono naturalmente già in contatto con realtà interessanti come la Fondazione Mind the Bridge (quella che porta i giovani innovatori italiani nella palestraincubatore di San Francisco, e che ho raccontato più volte su queste colonne). Sono consapevoli del rischio, presente soprattutto in Italia, di trasformare le start-up in un fenomeno mediatico, più marketing che sostanza. «Bisogna concentrarsi sulla sostanza — dice la Silva — e selezionare progetti che abbiano una vera consistenza industriale, una competenza dimostrabile». Aiuta il fatto che Genova abbia avuto

tante eccellenze tecnologiche, solo in parte colpite dalla crisi. E non è un caso che questo Parco di Erzelli stia decollando proprio mentre dalla parte “antica” della città, il porto di Genova, si moltiplicano i segnali di ripresa dell’export made in Italy.

Certo, dalla nascita di Genova High Tech (2003) sono passati dieci anni, dalla firma del primo accordo con l’università (2007) ne sono trascorsi sei. Sono tempi quasi storici, rispetto alla velocità del cambiamento in Cina o in California. I soci tutti privati di Ght hanno già investito 1,5 miliardi, la facoltà di Ingegneria si è fatta pregare molto, prima di rassegnarsi a lasciare la sua sede storica di Albaro.

«Elegante, affascinante, perfino romantica», la definisce Maria Silva. Ma poco adatta a fare ricerca avanzata.

Alla fine, anche lo Stato e le sue istituzioni stanno facendo la loro parte. «Stiamo riuscendo a pensare in grande — dice Rasero — il nostro modello è un’intuizione come il Cern di Ginevra, che i fondatori della Comunità europea vollero creare mezzo secolo fa e oggi sembra quasi un miracolo. Noi qui stiamo creando le condizioni per una diversità notevole: scientifica, economica, etnica, culturale. Se in questo Parco lavorano insieme l’impresa, la ricerca ingegneristica, la medicina, il potenziale creativo sarà fantastico. Siamo in un luogo ideale: tutti i trend demografici dicono che le élite di talento si spostano verso le città, e verso il mare. Questo è un laboratorio che avrà rilevanza globale, non solo per l’Italia»



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