Edimburgo – Geoff Cross si presenta in conferenza stampa con un piede bendato (“non è nulla, un graffio rimediato mentre cercavo di bloccare un calciatore” dice con il tono di voce calmo e tranquillo che mai ti aspetteresti da un ‘omone’ come lui), con un altro segnato dalla battaglia di venerdì contro gli Ospreys in Celtic League, ma con l’orgoglio i tornare nel XV titolare, dopo la buona prestazione – partendo dalla panchina – a Roma contro l’Italia.
“Mi piace giocare a rugby, di conseguenza sono sempre contento quando vengo preso in considerazione e mi viene chiesto di far parte della squadra“, esordisce Geoff. “Quando ho avuto occasione di giocare, secondo me ho giocato bene. Il mio lavoro consiste nel mettere lo staff tecnico in condizione di convocarmi, facendo bene quando son chiamato in causa. Per questo, è importante che io lavori sempre duro in allenamento per migliorare quello che mi riesce meglio, la performance in mischia chiusa. Ci sono anche altri aspetti del mio gioco che voglio perfezionare e sono convinto che se le mie prestazioni saranno positive ci sarà un posto in squadra per me“.
Cross ha giocato cinquantaquattro minuti con Edinburgh nel match di venerdì sera, a Meggetland contro gli Ospreys, e a Roma era entrato in campo per Moray Low prima della fine del primo tempo, per sistemare i problemi in mischia chiusa della Scozia. Risultato, due vittorie.
“Quando non hai la possibilità di giocare sempre, con regolarità, come mi è capitato ultimamente, l’unico modo che hai per metterti in mostra è lavorare duramente durante la settimana. L’allenamento diventa fondamentale, perché in quell’occasione puoi mostrare allo staff tecnico il tuo valore e puoi guadagnarti il posto in squadra. La cosa importante da fare è focalizzarsi su quello che lo staff tecnico, chi deve fare la scelta, vuole e lavorare su quello o quegli aspetti. Poi, chiedergli come stai andando“.
“Cosa mi hanno detto? Che dal punto di vista della mischia chiusa non c’erano problemi, ma dovevo migliorare in difesa e sotto l’aspetto dei placcaggi, essere più determinato. E su questo mi sono concentrato. Come detto, mi piace giocare e quando non sono scelto non sono contento, ma bisogna rimanere concentrati e non lasciarsi andare. Comunque, quello che mi interessa ora è che ho avuto la possibilità di prepararmi per una grande partita internazionale come la prossima contro la Francia“.
“A Roma ho fatto quello che lo staff mi ha chiesto di fare. Non so, onestamente, se quello che ho fatto fosse sufficiente per fare cambiare idea al direttore di gara – che continuava a penalizzare la mischia scozzese – oppure ho semplicemente approcciato diversamente rispetto al mio compagno di squadra. Quando sono entrato, ho cercato di prendere la migliore posizione prima dell’ingaggio e mettere in campo quanto provato in allenamento. Quando entri dalla panchina sei più fresco dei tuoi compagni e degli avversari e in qualche modo questo fatto ti mette in una condizione privilegiata. Non ho mai fatto paragoni con i miei compagni, quello su cui mi sono sempre focalizzato è migliorare gli aspetti in cui sono più carente e perfezionare quelli in cui mi sento di andare bene“.
A questo punto, grazie ad una domanda, si passa a parlare di concussion. La Scottish Rugby in settimana ha lanciato un progetto, in collaborazione con il dottor Willie Stewart, neuropatologo al Glasgow’s Southern General Hospital, per studiare gli effetti della concussion su ex giocatori, internazionali e non, in modo da poter stilare una sorta di tabella sugli effetti a lungo termine e aiutare le future generazioni di rugbisti. Non si conosce molto su questi effetti e questo studio sarebbe uno dei primi nel suo genere, in un momento in cui il rugby internazionale ha posto grande attenzione su questo aspetto (la Scozia usa il mantra “If in doubt, sit them out”). Chris Paterson, ambasciatore del rugby scozzese, prenderà parte al progetto e ha chiesto ai suoi ex compagni di fare altrettanto.
“Io posso dire solo una cosa“, dice Geoff Cross, laureato in medicina. “Ho ascoltato quello che il dott. James Robson - Chief Medical Officer della Scozia Rugby – con molta attenzione e mi sono segnato un paio di punti. ‘Hai un solo cervello, considera questo ogni volta che ti trovi al centro di un possibile caso di concussion’. Non ho suggerimenti particolari da dare ai ragazzi giovani, non ho mai pensato in maniera approfondita se ai giorni nostri sia cambiato qualcosa. Quello che io credo è che il principio da cui partire è essere cosciente del tuo stato, di te stesso. Però va detta una cosa: un incontro internazionale di rugby è un ambiente strutturato e super-controllato. In campo ci sono i giocatori e tutto attorno un gruppo di professionisti presenti e pronti ad intervenire per garantire la salute degli atleti in campo. Lo staff medico è parte integrante dell’ambiente, e si fa carico della parte ‘precauzionale’ di consentire o meno ad un giocatore di tornare a giocare dopo aver subito un infortunio. In questo ambiente, i pericoli vengono visti e affrontati subito e in molti casi prevenuti“.
In chiusura, due parole sul suo contratto che scadrà a fine stagione.
“Il mio contratto con Edinburgh scade a fine stagione e al momento non ho ancora avuto modo di discutere di un eventuale rinnovo. Altrettanto, non ho ancora parlato con nessun’altra squadra. Vediamo cosa succederà da qui al termine della stagione, ma credo sia opportuno discuterne“.