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Geografie dell'ingiustizia

Creato il 25 maggio 2013 da Francosenia

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Il concetto di "Giustizia spaziale", enunciato da Henri Lefebrve nel 1968, nel suo "Il diritto alla città", non è altro che un tentativo, da parte della grande tradizione figurativa borghese, di risolvere, sul piano ideologico, tutti gli squilibri, le contraddizioni e le disfunzioni sociali delle città; e - alla maniera di Le Corbusier - vi si potrebbe aggiungere lo slogan "Urbanismo o Rivoluzione!". L'idea di una "Città Giusta" è la prova di una contorsione nevrotica pseudo-umanista; dal momento che si sa quanto sia illusorio proporre dei contro-spazi architettonici, se non addirittura urbani: è la ricerca di un'alternativa che risulta iscritta dento le stesse strutture liberali, che poi sono quelle che condizionano tutta la natura del progetto. Una contraddizione evidente e storica. L'arretratezza politica di questo gruppo di intellettuali si caratterizza a partire dal loro voler rilanciare una sorta di etica dell'architettura e dell'urbanismo, assegnandogli la missione politica di allentare le tensioni. Un riformismo che esige un "Minimo vitale", invece di esigere una città - una vita -ideale.
Il geografo Ed Soja, oggi il principale teorico di questo concetto di "Giustizia spaziale", riconosce pienamente i limiti politici di una tale visione ottimistica, e rilancia una critica politica dell'urbanismo e della geografia urbana.

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Edward w. Soja
La città e la giustizia spaziale

L'espressione "Giustizia Spaziale" si è diffusa solo recentemente e, ancora oggi, geografi e progettisti tendono ad evitare l'utilizzo esplicito dell'aggettivo "spaziale", quando analizzano la richiesta, da parte delle società contemporanee, di maggior giustizia e democrazia. O la spazialità della giustizia viene ignorata, oppure viene fondata (assai spesso svuotata della sua sostanza) su dei concetti apparenti come la giustizia territoriale, la giustizia ambientale, l'urbanizzazione dell'ingiustizia, la riduzione delle disuguaglianze regionali, oppure in modo ancora più ampio sulla ricerca generica di una città giusta e di una società giusta. Tutte queste variazioni su uno stesso tema sono importanti ed hanno un senso, ma più spesso tendono a distogliere la nostra attenzione da quello che una formulazione specificamente spaziale della giustizia può portare e, ancora più importante, ci privano di tutti i nuovi e numerosi sbocchi che un tale approccio è in grado di offrire ad un attivismo sociale e politico in grado di appoggiarsi su tale nozione. I benefici non si misurano solo in termini di apporto teorico, ma in termini pratici.
L'obiettivo di questa breve presentazione è quello di spiegare perché sia fondamentale il doppio punto di vista teorico e pratico di mettere l'accento su questa dimensione spaziale della giustizia, non solo nella città ma a tutti i livelli, dal locale al globale. Andrò ad organizzare la mia dimostrazione attorno ad una serie di proposte, a cominciare dall'emergere - da 5 anni - dell'espressione "giustizia spaziale", letteralmente dal niente, e dalle ragioni per le quali essa probabilmente continuerà ad essere l'espressione favorita nel futuro.

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Quale che sia il campo in cui si opera, la riflessione non può che beneficiare direttamente di una prospettiva critica fondata sull'analisi dello spazio. Questo postulato ha guidato la pressoché totalità del mio lavoro di scrittura da quarant'anni, e costituisce la prima frase dell'opera che sto scrivendo, che s'intitola "Alla ricerca della giustizia spaziale". Pensare spazialmente la giustizia non ci permette solo di arricchire le nostre prospettive teoriche, ma ci aiuta ad andare avanti, in pratica, su delle strade che danno una maggiore efficacia alla nostra ricerca di un una maggior giustizia e democrazia. Al contrario, se ci rifiutiamo di spazializzare esplicitamente la nostra riflessione, queste strade non saranno più accessibili.
Dopo un secolo e mezzo di storicismo sociale, da dieci anni, l'idea di pensare in modo spaziale si è diffusa in quasi tutte le discipline. Mai, fino ad oggi, una prospettiva critica spazializzata era stata, fino a tal punto, riconosciuta ed applicata in modo così vario, dall'archeologia alla poesia, agli studi religiosi, passando per la critica letteraria, il diritto e la contabilità. Questa "svolta spaziale", diciamo così, è la prima spiegazione della recente popolarità del concetto di giustizia spaziale e della spazializzazione delle nostre teorie sulla giustizia ed i Diritti dell'Uomo, cosa che si può verificare a partire dalla rinnovata popolarità della nozione di diritto alla città, sviluppato da Lefebrve. Fino a 5 anni fa, il concetto di giustizia spaziale non sarebbe stato così facilmente comprensibile. Oggi, interessa un pubblico assai più vasto di quello interessato alle discipline consacrate per tradizione all'analisi dello spazio, ossia la geografia, l'architettura e l'urbanistica. La riflessione sullo spazio è cambiata negli ultimi anni. Lo spazio non è più considerato come una semplice contenitore, cone la scena sulla quale si svolge l'attività degli uomini, vista come una semplice dimensione fisica, ma come una forza attiva che modella la nostra esperienza di vita. Oramai, per esempio, si riflette in maniera approfondita sulla causalità spaziale urbana, al fine di meglio misurare l'influenza delle metropoli sul nostro comportamento quotidiano, ma anche su un insieme di processi: l'innovazione tecnologica, la creatività artistica, lo sviluppo economico, il cambiamento sociale; ma anche il degrado dell'ambiente, la polarizzazione sociale, l'aumento delle disuguaglianze di reddito, la politica internazionale e, più specificamente, la produzione di giustizia e di ingiustizia.
Il moderno pensiero critico spaziale si basa su tre principi:
* quello della spazialità ontologica degli esseri umani (siamo tutti essere situati spazialmente, oltre che socialmente e storicamente)
* quello della produzione sociale della spazialità (lo spazio viene prodotto socialmente, e può essere trasformato socialmente)
* quello della dialettica socio-spaziale (lo spazio viene prodotto socialmente, e perciò è vero anche il reciproco: il sociale viene prodotto spazialmente)
Se ci interessiamo seriamente a quest'ultima dimensione dialettica, possiamo riconoscere che le geografie che viviamo nel quotidiano impattano sia in modo positivo che negativo su pressoché tutte le nostre azioni. Tutte queste idee mettono in evidenza anche il fatto che la giustizia e l'ingiustizia sono iscritte dentro la spazialità e ne sono indissociabili; nella geografia multi-scalare in cui viviamo, a partire dallo spazio dei nostri corpi, passando per lo spazio domestico, lo spazio delle città, delle regioni, dello stato-nazione, fino allo spazio globale.
Finché queste idee non saranno largamente comprese, bisognerà insistere per fare della spazialità della giustizia una realtà scientifica tanto esplicita e gravida di conseguenze quanto possibile. Ridefinirla diversamente significa mancare il punto essenziale e perdere di vista tutti i campi di possibilità che una tale riflessione può aprire.

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In senso più ampio, il termine giustizia (o ingiustizia) spaziale pone intenzionalmente l'enfasi sull'aspetto spaziale o geografico della giustizia e dell'ingiustizia. Per cominciare, questo significa prendere in considerazione tutto quello che concerne la distribuzione equa e giusta nello spazio delle risorse socialmente valorizzate e della possibilità di sfruttarle. La giustizia spaziale, in quanto tale, non si sostituisce, né tanto meno è un'alternativa, alla giustizia sociale, economica o altro, ma piuttosto consiste in un modo di esaminare la giustizia, adottando una prospettiva spaziale critica. Adottando questo punto di vista, si trova sempre una dimensione spaziale della giustizia che è rivelante e, al tempo stesso, tutte le geografie recano in sé un'espressione di giustizia e di ingiustizia.
La giustizia (o l'ingiustizia) spaziale può essere intesa sia come una conseguenza che come un processo, in quanto geografie o schemi di ripartizione che sono in sé stessi giusti o ingiusti, oppure in quanto processi che producono risultati. Se, da un lato, è relativamente facile trovare esempi di ingiustizia spaziale, è molto più difficile identificare e comprendere le cause soggiacenti che producono le geografie dell'ingiustizia.
Le discriminazioni legate alle localizzazioni, risultato di un trattamento ineguale nei confronti di certe categorie della popolazione in ragione della loro localizzazione geografica, si rivelano fondamentali nella produzione di ingiustizia spaziale e nella creazione di strutture spaziali perenni, fondate su privilegi e vantaggi. Le tre forze più note che agiscono per produrre discriminazioni locali e spaziali sono: la classe sociale, la razza e il genere, ma i loro effetti non possono essere ridotti solo alla segregazione. L'organizzazione politica dello spazio è una fonte potente di ingiustizia spaziale, cui attengono per esempio i brogli, le restrizioni degli investimenti municipali, i processi di esclusione o, addirittura, l'apertheid territoriale, la segregazione residenziale istituzionalizzata, processi che recano il segno delle geografie coloniali e/o militari al servizio del controllo sociale e la creazione, a tutti i livelli, di strutture spaziali di privilegio organizzate secondo il modello centro-periferia.
Il funzionamento normale di un sistema urbano. le attività quotidiane che fanno funzionare la città, sono una fonte privilegiata di ineguaglianza e di ingiustizia nella misura in cui l'accumulazione dell'economia capitalista tende alla ridistribuzione delle ricchezze in favore dei ricchi, e a detrimento dei poveri. Questa ingiustizia nella redistribuzione è ulteriormente aggravata dal razzismo, dal patriarcato, dal pregiudizio eterosessuale e dalle numerose altre forme di discriminazione spaziale e "locazionale". Bisogna notare anche come questi processi possono operare al di fuori della rigidità della segregazione spaziale.
Le ineguaglianze geografiche di sviluppo e sottosviluppo ci offrono un quadro di analisi supplementare, per interpretare i processi all'origine dell'ingiustizia, ma come nel caso di altri processi, è solo quando queste ineguaglianze si irrigidiscono in delle strutture più durevoli al servizio del privilegio e del vantaggio che diventa necessario intervenire. Uno sviluppo perfettamente uguale, un'uguaglianza socio-spaziale totale, una giustizia di pura redistribuzione, non sono realizzabili. Ciascuna delle geografie in cui viviamo è portatrice, ad un grado variabile, di ingiustizia, rendendo così particolarmente cruciale la questione della scelta dei siti di intervento.

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La ricerca di più giustizia, o di meno ingiustizia, è uno degli obiettivi fondamentali di tutte le società, un principio fondatore volto a preservare la dignità umana e l'equità. Il dibattito giuridico e filosofico appare spesso ispirato alla teoria della giustizia di Raels, ma tali dibattiti si riferiscono solo molto marginalmente alla spazialità della giustizia e dell'ingiustizia. Il concetto di giustizia, e la sua relazione con le nozioni associate di democrazia, uguaglianza, cittadinanza e diritti civici, ha assunto un senso nuovo nel contesto contemporaneo, e questo a causa di molte ragioni: vi si ritrova, fra l'altro, l'intensificazione delle ineguaglianze economiche e la polarizzazione spaziale, associate alla mondializzazione neoliberale e alla nuova economia, insieme alla diffusione transdisciplinare della prospettiva spaziale critica. Il termine specifico di "giustizia" ha acquisito uno statuto privilegiato nell'immaginario pubblico e politico, in rapporto a delle alternative come "libertà" (che ha oramai delle forti connotazioni di conservatorismo), "uguaglianza" (a causa delle politiche culturali odierne assai sensibili alla differenza) o "Diritti dell'Uomo universale", visti come staccati da ogni contesto storico e geografico.
La giustizia nel mondo contemporaneo è arrivata ad essere considerata come più concreta, meglio fondata rispetto alle sue alternative, maggiormente in grado di rispondere alle condizioni attuali e di essere investita di una forza simbolica suscettibile di attraversare efficacemente le divisioni di classe, di razza e di genere, per investire una coscienza politica collettiva ed un senso di solidarietà basato su un'esperienza largamente condivisa. La ricerca della giustizia è diventata un potente grido di battaglia ed una forza di mobilitazione di nuovi movimenti sociali e nuove coalizioni che abbraccino l'insieme dello spettro politico e che estendino la portata del concetto di giustizia  a nuove forme di lotta  e di attivismo, al di là dei domini tradizionali del sociale e dell'economico. Oltre alla giustizia spaziale, altre combinazioni sono apparse: giustizia territoriale, razziale, ambientale, monetaria; giustizia per i lavoratori, per i giovani, per la sfera locale, per quella globale, per le comunità, per la pace, per le frontiere, per i corpi.
La combinazione dei termini "giustizia" e "spaziale" apre un nuovo campo di possibilità per l'azione politica e sociale, come per la teoria della società e della ricerca empirica, che non sarebbero così evidenti se i due termini non fossero associati.
Una ricognizione geostorica sul concetto di giustizia spaziale ci riporta alla citta greca e all'idea aristotelica che l'essere politico è essenzialmente un essere urbano; possiamo da qui seguire l'ascesa della democrazia liberale ed i tempi delle Rivoluzioni, per fermarci alla fine sulle crisi urbane degli anni 1960. La Parigi degli anni '60, in particolare a causa della copresenza (ancora oggetto di studio) di Henri Lefebvre e di Michel Foucault, è diventata il terreno più fertile per lo sviluppo di una concettualizzazione radicalmente nuova dello spazio e della spazialità come concetto di giustizia specificamente radicato nello spaziale e nell'urbano. La sintesi di questo concetto risiede nell'appello di Lefebvre a riprendere il controllo della nostra città e il nostro diritto alla differenza. Questo procedere sulla strada della prospettiva spaziale critica è stata sviluppata e deviata da David Harvey, nel suo "La giustizia sociale e la città", pubblicato nel 1973. In questo libro, come in tutto quello che ha scritto poi, Harvey sceglie di utilizzare il termine di "giustizia territoriale", preso in prestito dall'urbanista gallese Bleddyn Davies, ma non ha mai utilizzato esplicitamente il termine di giustizia spaziale per esporre la sua teoria della spazialità della giustizia. Per mezzo delle sue "formulazioni liberali", Harvey ha fatto avanzare la concettualizzazione della giustizia e la prospettiva che da allora ha influenzato tutto il dibattito anglofono sulla giustizia e sulla democrazia. Nonostante sia stata riconosciuta l'importanza del contributo di Lefebvre all'elaborazione di una filosofia marxista dello spazio, il marxismo di Harvey si è allontanato dalle questioni di causalità spaziale e dall'importanza da assegnare alla giustizia in quanto tale. Harvey ha menzionato solo raramente, dopo, il termine di giustizia sociale, anche se la nozione di urbanizzazione dell'ingiustizia è stata ripresa da altri, e benché anche lui stesso sia recentemente tornato a scrivere sul diritto alla città.
La prima menzione esplicita del termine giustizia spaziale si ritrova nella tesi inedita di dottorato del geografo politologo John O'Laughlin, intitolata "Giustizia spaziale e voto nero americano: La dimensione territoriale delle Politiche urbane", tesi sostenuta nel 1973. Dagli anni 1980 fino alla fine del secolo, l'utilizzo del termine lo si ritrova quasi esclusivamente nei lavori di geografi e urbanisti di Los Angeles ... cosa che porta a certe conclusioni.
Recentemente, Los Angeles, e più significativamente il dipartimento di Urbanismo dell'UCLA, è diventato il luogo di un movimento nazionale centrato sulla nozione di Diritto alla Città. A partire da Lefebvre ed altri pensatori che hanno adottato una prospettiva spaziale critica, questo movimento localizzato di è diffuso a livello mondiale durante il Social Forum del 2005, dove è stata proposta una Carta Mondiale del Diritto alla Città.

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fonte: http://laboratoireurbanismeinsurrectionnel.blogspot.it

FOTO:
Existenz Minimum a Hong Kong : vi sono circa 100.000 abitanti che vivono in degli "appartamenti suddivisi", delle "cellule" con una superficie fra i 3 ed i 7 m².
Via Me-Fi e Things Magazine.


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