Mi sono trovata di recente in un posto così. È una terrazza che l'uomo ha appena ritoccato nella natura. Sul fianco di una rupe boscosa di sempreverdi. Un pavimento di mattoni grigiorosa delimitato da una ringhiera di ferro incorniciata da quattro pini silvestri. Tra le finestre dei pini, oltre la ringhiera, la piana si stende disegnata da un reticolo di multiformi quadrilateri armoniosamente sfumati nei toni caldi del giallo pacato, del dorato marrone, del verde pudico. Oltre la geometria dei campi si intravede una curva d'azzurro, mare o lago non si saprebbe dire. Sulla linea dell'orizzonte la piana confina con la curva del cielo, la vista più rara a vedersi, perché di rado gli occhi si levano al cielo.
Sospesi su questa terrazza non è necessario alzare lo sguardo per vedere il cielo. L'eterea sfera avvolge la terrazza e il disegno dei campi e la rupe boscosa e la curva d'azzurro, mare o lago, laggiù. Un microuniverso palpitante nel silenzio!
Ho sempre amato luoghi che paiono disegnati dalla mano di un sapiente geometra!
La geometria non esclude l'immenso sconfinato. La purezza delle forme rigorosamente definite e la musica delle simmetrie alludono ad una infinita quanto irraggiungibile perfezione.
È per questo forse che mi attrae Piero della Francesca, il pittore di geometrie metafisiche della natura e della storia. Le linee di Piero disegnano poligoni regolari e cerchi perfetti negli spazi e nei corpi, assecondando uno sguardo capace della precisione della riga e del compasso. Anche il colore si distende, deciso, secondo corrispondenze studiate e ostinatamente perseguite. Ne risulta un'armonia compiuta da una volontà che insegue il tracciato razionale della perfezione e diffonde una musica rasserenante, geometrica anch'essa. Si susseguono ritmi di quadrilateri e triangoli che d'improvviso si flettono nelle dolci linee sinuose delle curve di un corpo o nella perfetta circolarità di un'aureola.
Me ne sarei stata per ore nella minuscola e spoglia stanza di Monterchi dove è stato collocato l'affresco della “Madonna del parto”, umanissima nel lieve incurvarsi all'indietro sulla schiena, col braccio sinistro piegato a sostenere il fianco e la mano destra delicatamente poggiata sul grembo, nel punto in cui la sopravveste azzurra è slacciata e forma un rombo oblungo, quasi uno squarcio luminoso sul mistero della maternità. Il corpo ha la semplice e fresca maestà di una giovane popolana. Appaiono come due fanciulli del popolo anche gli angeli laterali, in perfetta simmetria alternata di forme e colori, che sostengono la tenda aperta su un palcoscenico essenziale.
La scena rappresenta una maternità consacrata dalla geometria di Piero, sobria e surreale a un tempo. Il volto della mamma è purissimo nell'ovale perfettamente delineato in una compostezza metafisica che nulla sottrae al sentimento della donna.
Nel disegno di Piero traspare la dolce geometria del paesaggio Toscano, la stessa che i miei occhi hanno interiorizzato dalla magica terrazza, una delle tante della terra di Piero.
Le curve dei poggi, il reticolo ordinato e dolcemente policromo dei campi, i triangoli dei cipressi che puntano al cielo sono trasfigurati nelle forme perfette dei racconti del pittore di Sansepolcro.
L'affresco della “Madonna del parto” è dipinto coi colori di vedute familiari.
Il fondale della scena si ispira di certo ai muri in cotto del paesaggio aretino. Tuttavia, il verde della tunica di uno dei due angeli e delle ali dell'altro come l'azzurro della veste della Madonna e il rosato diafano dei volti, pur richiamando i colori del medesimo paesaggio, emanano una luce che disancora dalla realtà i volumi dei corpi permeati da una trasparenza che li rende quasi inconsistenti.
Una terrazza protesa sulla piana, quasi sospesa nel cielo, e l'affresco di Piero, specchiatisi negli occhi, si sono con-fusi, trasfondendo nei sensi e nel cuore l'essenza di una pacata, semplice, bellezza ristoratrice.
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