Ennesima serata celebrativa alla Sala Trevi in Roma. Questa volta si parlava del giallo, del giallo all’italiana ovviamente e nella fattispecie dei lavori del regista Sergio Martino, del prolifico sceneggiatore Ernesto Gastaldi e di George Hilton, uno dei volti dello spaghetti western e appunto del giallo.
I protagonisti dell’incontro, svoltosi domenica 7 giugno, moderato da Emiliano Morreale e da Andreas Ehrenreich, arrivano accaldati, vista la forte umidità della giornata, ma subito disponibili a lanciarsi in appassionati racconti e personali interpretazioni delle loro ancora vive avventure cinematografiche, sviscerando gusti, opinioni, simpatie e giudizi, anche taglienti, su un genere di grande popolarità negli anni settanta, provocatorio, violento, visionario, fortemente radicato nella controversa, torbida realtà di quegli anni, ma anche, stando alle parole del regista Martino, soggetto spesso ad alcuni, inevitabili, compromessi produttivi e tabù nazionalistici, poiché lo stesso regista afferma, un po’ divertito, come il giallo dell’epoca avesse la necessità, almeno da parte dei distributori, di essere ambientato prevalentemente all’estero per giustificarne così una certa credibilità di fondo agli occhi del pubblico. Un’imposizione, un non problema, che comunque assicurò alle storie suggestive ambientazioni internazionali, anche se in questo senso l’avvento di Dario Argento fu un’eccezione ed uno stimolo a considerare di più anche ambientazioni italiche.
I tre parlano del genere con l’inevitabile affetto dei creatori, dei pionieri, si scambiano battute sul proprio operato, sulle influenze, inevitabili, del cinema d’oltreoceano e sui risultati raggiunti, come quando George Hilton ammette senza remore di preferire un film in particolare nella sua filmografia, anche per la sua intensa interpretazione, La coda dello scorpione (1971), a quanto pare uno dei prediletti anche da Sergio Martino che però si affretta ad aggiungere alla lista il bellissimo e meno conosciuto Morte sospetta di una minorenne (1975), mentre il buon Gastaldi dal canto suo si sofferma, in un certo senso, sugli albori, su come tutto ebbe inizio con il film Libido (1965), diretto dallo stesso sceneggiatore in una delle sue rare regie, ed interpretato da sua moglie, l’attrice Mara Maryl, presente in sala, una pellicola costata poco più di venti milioni e venduta all’estero per molto di più, trovandosi ad incassare anche consistenti cifre.
I tre poi ammettono in tutta onestà di aver realizzato anche film poco convincenti, forse un po’ ripetitivi, almeno ai loro occhi, uno di questi risulta essere proprio il titolo proiettato appena dopo l’incontro, Lo strano vizio della Signora Wardh (1971), con protagonisti la bellissima Edwige Fenech, grande assente dell’incontro, causa impegni, e ovviamente Hilton, un film, rivedendolo, effettivamente non privo di qualche ingenuità ed escamotage registico, ma dalla brillante messa in scena e con un gusto per le inquadrature mai così scontato; una pellicola sulla quale Martino si sofferma per dichiararne la fonte ispiratrice, il famoso caso Fenaroli, un uomo che negli anni settanta fece uccidere la propria moglie per intascarne la ricca assicurazione sulla vita e sempre molto divertito spiega il motivo della famosa H, lettera finale nel nome Wardh, figlia di una comica controversia con un signore che, casualmente, rispondeva proprio al cognome di Ward. Quest’ultimo, poco prima dell’uscita del film, impose alla produzione, minacciando una denuncia, la modifica dello stesso, onde evitare imbarazzi alla propria consorte. “Chissà, probabilmente preoccupato da quello strano vizio insito nel titolo”, commenta sagace Hilton.
L’incontro procede rapido per dar modo al pubblico presente di poter (ri)vedere il film e i pensieri dei tre protagonisti si ritrovano a combaciare, più o meno, su tutto, non sono mai così distanti, concordano sull’evidente, indiscutibile valore di alcune opere dell’epoca, sull’importanza del cinema di genere, tutto, e non solo del giallo, relegato troppo velocemente ad una sorta di inutile, razzistica serie B e concludono nell’affermare, nuovamente, forte e chiaro, quanto il cinema non debba essere solo quello radicato e mostrato nei vari blasonati festival, la cosiddetta elite, la crema se possibile, ma come sia soprattutto quello che gli ruota intorno, l’industria per l’appunto, attraverso cui è possibile, perché no, trovare anche l’arte e vari stili. Il cinema italiano di allora, in particolar modo quello degli anni sessanta e settanta, si distingueva proprio in questo, incalza Martino: “era una vera industria, prolifica di idee, produttori, storie. I nostri film, il genere, l’artigianato formavano l’industria, il giallo, il poliziesco, il western, l’horror, tutto ciò dava ampio respiro e aumentava le opportunità. Oggi è chiaramente un’altra cosa”. Un pensiero che, anche fra il pubblico presente in sala, non ha potuto non trovare un palese riscontro. Nell’attualità delle cose il nostro cinema è uno stagno nel quale sporadicamente qualcuno si ritrova a lanciare un sasso per smuovere le ferme acque, ci si accontenta delle briciole e di ricordare glorie passate che, per l’appunto, non sono un’esclusiva della crema del cinema ma anche dei vari Sergio Martino, George Hilton ed Ernesto Gastaldi, registi, attori e sceneggiatori artigiani, uomini di cinema d’altri tempi, di un cinema che non era affatto uno stagno, bensì un mare in piena burrasca.
Manuele Bisturi Berardi