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George Shearing

Da Daniele Vannini

Io e Dean andammo a sentire Shearing al Birdland nel bel mezzo di quel lungo, folle fine settimana. Il locale era deserto, fummo i primi ad arrivare, erano le dieci. Shearing fece il suo ingresso, cieco, accompagnato per mano alla tastiera. Era un inglese distinto col colletto bianco rigido, un pò corpulento e rubizzo, biondo, con un'aria delicata da notte d'estate britannica che venne fuori quando suonò il primo pezzo, dolce e sussurrante, mentre il contrabbasso si sporgeva reverente verso di lui e segnava il tempo. Il batterista, Denzil Best, sedeva immobile tranne per i polsi che agitavano le spazzole. E Shearing cominciò a dondolarsi; un sorriso gli si aprì sulla faccia estatica, cominciò a dondolarsi sullo sgabello del piano, avanti e indietro, lentamente da principio, poi il ritmo si fece più intenso e lui cominciò a dondolarsi più veloce, col piede sinistro che scattava a ogni battuta, cominciò a torcere il collo, si chinò con la faccia sulla tastiera, buttò indietro i capelli che si scompigliavano tutti e cominciò a sudare. La musica prese quota. Il contrabbasso si chinò e cominciò a darci dentro davvero, sempre più veloce, sembrava sempre più veloce, ecco. Shearing partì con i suoi accordi; uscivano dal pianoforte a fiotti, a cascate dirompenti, si sarebbe detto che il suonatore non avesse il tempo di controllarli. Fluivano a ondate come il mare. Il pubblico gridava: "Vai!". Dean sudava; il sudore gli colava giù dentro il colletto. "Dai! Dai! Sei un dio, Shearing! Si! Si! Si!". E Shearing era conscio del pazzo che gli stava alle spalle, sentiva ogni singulto e imprecazione di Dean, li sentiva anche se non poteva vedere. "Così, avanti!" diceva Dean. "Si!" Shearing sorrise; si dondolò sullo sgabello. Shearing si alzò, colando sudore; erano i grani giorni del 1949, prima che diventasse freddo e commerciale. Quando se ne fu andato, Dean indicò lo sgabello vuoto. "La sedia vuota di Dio" disse. Sul piano c'era una cornetta; la sua ombra dorata mandava uno strano riflesso sulla carovana del deserto dipinta sulla parete dietro la batteria. Dio se n'era andato; era il silenzio della sua dipartita. Era una notte di pioggia. Era il mito della notte di pioggia. Dean aveva gli occhi fuori delle orbite per la meraviglia e l'ammirazione. Quella follia non l'avrebbe portato da nessuna parte. Io non sapevo cosa mi stesse succedendo, e all'improvviso mi resi conto che si trattava solo dell'erba che stavamo fumando; Dean ne aveva comprata un pò a New York. Mi faceva credere che tutto stesse per succedere: il momento in cui si capisce che tutto, tutto è deciso per sempre.
"Sulla strada"
Jack Kerouac

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