(C) Ed. Transatlaniques
Figura coltissima e artista nell’accezione più alta del termine (fu, oltre che compositore, anche poeta e pittore) Georges Migot scrisse opere, musica orchestrale, corale e da camera e si avvicinò alla chitarra in più fasi della sua vita artistica.
La raffinata e solida scrittura della Sonate pour guitare composta nel 1960 rende la pagina uno dei più importanti lavori sonatistici della prima metà del Novecento. Quasi completamente ignorata dai chitarristi, si articola in quattro movimenti tra i quali è facile individuare un impalpabile filo conduttore che si snoda su agili abbellimenti, melodie di chiara origine vocale e intrecci polifonici.
Il primo movimento (“Prelude”) si compone di due sezioni. La prima mostra un’indefinita melodia comparire e scomparire da un oscuro fondo che insiste sulla stessa cellula sul registro basso; i due elementi, apparentemente agli antipodi, si fondono nella seconda sezione dando origine ad una fitta trama polifonica a cui seguono voli pindarici fatti di riecheggiamenti e ariosi abbellimenti. Da questi si intravede appena l’enunciazione di una nuova delicata linea melodica, esposta sul registro acuto, che risuona in lontananza e che, nel momento in cui pare prendere corpo, si smaterializza per dare origine alla ripresa della scura cellula iniziale che, abbellita e con un accenno di sviluppo, porta alla chiusura.
Il secondo movimento (“Allant”) è un brioso arabesco nel quale rapidi e leggeri passaggi monodici su due registri creano inizialmente una dimensione responsoriale per poi mostrare le loro affinità in un breve episodio polifonico a cui segue un breve frammento quasi-improvvisativo. La pagina si chiude con la ripresa dell’elemento iniziale sostenuto da bassi e abbellimenti.
Degli agili disegni che hanno caratterizzato il primo ed il secondo movimento, nel terzo (“Andante”) non rimane traccia. La pagina è un mesto corale da toni scuri e di abbandono. L’autore porta sulla chitarra una straordinaria scrittura polifonica di ampio respiro nella quale gli intrecci delle linee melodiche, accostati a parti accordali, non sembrano soffrire dei limiti imposti dalla fisicità dello strumento: siamo fi fronte ad una preziosa gemma di rara bellezza.
Il “Final” che chiude la Sonate è un virtuosismo tecnico-meccanico dove strette figurazioni, fioriture, elaborati arpeggi e scale mettono alla frusta le capacità dell’interprete. Lo strumento diviene una tavolozza dalla quale l’autore – senza mai rinunciare a elegante leggiadria – estrae colori, materia sonora e abbaglianti sprazzi di luce che alterano in continuazione il materiale tematico originale, in una esplorazione musicale che riporta alla memoria i capolavori (e in questi proprio il ruolo della luce) di Claude Monet.
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English Version
English Version
A cultured figure and an artist in the highest sense of the term (besides being a composer, he was also a poet and painter), Georges Migot wrote operas, orchestral, choral and chamber music and approached the guitar in several phases of his artistic life.
The refined and solid writing of Sonate pour guitare, composed in 1960, makes the page one of the most important works for guitar in form of Sonata of the first half of the twentieth century. Almost completely ignored by guitarists, it is divided into four movements within which it is easy to spot an impalpable thread that runs on agile embellishments, melodies of clear vocal origin and polyphonic interweavings.
The first movement (“Prelude”) consists of two sections. The first shows an indefinite melody appearing and disappearing against a dark background that insists on the same cell on the lower register; the two elements, seemingly worlds apart, come together in the second section, giving rise to a dense polyphonic texture followed by Pindaric flights made up of echoes and airy embellishments. From these there is just a glimpse of the enunciation of a new delicate melodic line, exposed on the upper register that rings out in the distance and which, just when it seems to take shape, dematerializes to give rise to the recovery of the initial dark cell which, embellished and with a hint of development, leads to the closure.
The second movement (“Allant”) is a brisk arabesque in which rapid and light monodic passages on two registers initially create a responsorial size and then show their affinity in a short polyphonic episode followed by a short quasi-improvised fragment. The page ends with recovery of the initial element sustained by bases and embellishments.
No trace remains in the third movement (“Andante”) of the agile designs that characterized the first and second movements. The page is a sad choral with dark tones and neglect. The author carries an extraordinary far-reaching polyphonic writing on the guitar, in which the plots of the melodic lines, combined with chordal parts, do not seem to suffer from the limitations imposed by the physical nature of the instrument: we are faced with a precious jewel of rare beauty.
The “Final” which closes the Sonata is a technical-mechanical virtuosity where narrow representations, flourishes, elaborate arpeggios and scales, putting the ability of the interpreter to the test. The instrument becomes a palette from which the author – never giving up elegant grace – extracts colour, sound material and dazzling flashes of light that continuously alter the original thematic material in a musical exploration that brings to mind the masterpieces (and in these, precisely the role of light) of Claude Monet.