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GEORGIA: A Tbilisi, tra i rifugiati della guerra d’Abkhazia

Creato il 24 novembre 2013 da Eastjournal @EaSTJournal


di Luca Vasconi

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L’Abkhazia è una regione del Caucaso, con capitale Sukhumi, che si trova nel territorio della Georgia. Nel corso della guerra abcaso-georgiana del 1991-1993, con la dichiarazione d’indipendenza del 23 luglio 1992, si è autoproclamata Repubblica Autonoma d’Abkhazia.

Ad oggi è una terra a status conteso, de facto indipendente ma non riconosciuta dall’Onu e dall’Unione Europea. La Georgia non ne riconosce l’indipendenza, la considera “territorio occupato dalla Russia” e ne rivendica l’intero territorio come parte integrante dello stato.

Nel 1931 Josif Stalin (georgiano di Gori) ne fece una repubblica autonoma all’interno della Georgia sovietica. A dispetto della sua “autonomia” l’Abkhazia fu sottoposta al pesante controllo di Tbilisi. La lingua abcasa fu bandita, i diritti culturali repressi e migliaia di abcasi furono uccisi nel corso delle repressioni staliniane. Lavrenty Beria, capo della polizia segreta negli anni di Stalin, incoraggiò la migrazione georgiana in Abkhazia. Numerosi georgiani in quegli anni si stabilirono nella regione.

Con la morte di Stalin e di Beria nel 1953 ebbe termine la repressione della lingua abcasa che riacquistò un ruolo importante all’interno della repubblica. Seguendo una politica simile a quella usata per altre piccole repubbliche autonome, il governo sovietico stabilì delle quote etniche per l’assegnazione delle posizioni burocratiche. In cambio di lealtà verso il regime sovietico importanti cariche burocratiche furono assegnate alle élite locali.

Gli abcasi ottennero un grande potere politico, sebbene il loro numero fosse minoritario. I georgiani si considerarono vittime di discriminazione, il malcontento e le tensioni crebbero, dando origine ai conflitti etnici che avrebbero incendiato la repubblica caucasica negli anni a venire.

Alla fine degli anni ’80 l’Unione Sovietica cominciò a disintegrarsi e le frizioni tra abcasi e georgiani si acuirono. Nel corso del 1989 violenti scontri etnici ebbero luogo nella città di Sukhumi. Molti abcasi, temendo che una futura indipendenza della Georgia avrebbe portato a una “georgizzazione”, iniziarono a perorare la causa di una creazione di una repubblica indipendente.

Il 9 aprile 1991 la Georgia dichiarò l’indipendenza ed il 21 febbraio 1992 il governo militare che all’epoca la governava dichiarò l’abolizione della costituzione dell’era sovietica e la restaurazione della costituzione della Repubblica Democratica di Georgia, risalente al 1921.

Gli abcasi videro questo atto come una minaccia alla loro autonomia e in risposta, il 23 luglio 1992, il governo dell’Abkhazia dichiarò a sua volta l’indipendenza, un gesto non riconosciuto da nessun altro paese.

Il governo georgiano inviò truppe nella regione. Fu l’inizio della guerra.

Tra il settembre e l’ottobre 1992 le forze secessioniste abcase, con il supporto di paramilitari russi, sconfissero le truppe georgiane che furono costrette ad abbandonare la regione. Il governo georgiano, guidato da Eduard Shevardnadze, accusò la Russia di aver fornito copertura militare ai ribelli con lo scopo di “staccare dalla Georgia il suo territorio nativo e la terra di frontiera tra Georgia e Russia”.

La guerra abcaso-georgiana vide migliaia di morti e numerosi episodi di “pulizia etnica” da ambo le parti, con i georgiani cacciati dai territori controllati dagli abcasi e viceversa. Migliaia di abitanti di etnia georgiana vennero uccisi o espulsi dalla regione nel corso della guerra che terminò ufficialmente nel dicembre del 1993, con la firma a Ginevra di un trattato di pace da parte del governo georgiano e dei capi separatisti abcasi sotto l’egida dell’Onu e della Russia, anche se gli scontri durarono ancora a lungo.

Nel 1994 il governo di Sukhumi proclamò la sovranità della repubblica dell’Abkhazia, che non fu riconosciuta dalla Georgia.

I conflitti in Abkhazia riesplosero nell’ agosto 2008 in occasione della breve guerra tra Russia, milizie ossete e Georgia nell’altra regione separatista dell’Ossezia del sud. La Russia ha ufficialmente riconosciuto l’indipendenza dell’Abkhazia (e dell’Ossezia del sud) il 26 agosto 2008, con la stipulazione di accordi militari e l’invio di truppe della federazione russa nella regione.

Le conseguenze umanitarie della guerra sono state disastrose.

Il passato è ancora dolorosamente presente nella vita dei circa duecentosettantamila rifugiati georgiani cacciati dall’Abkhazia. A distanza di vent’ anni dalla fine della guerra, la maggior parte dei rifugiati vive in condizioni di povertà, senza prospettive per un futuro migliore, nella speranza che un giorno le promesse del governo di poter tornare nelle loro case e nella loro terra d’origine si possano realizzare.

Nei giorni trascorsi a Tbilisi ho conosciuto alcune famiglie di rifugiati e ascoltato le loro toccanti storie.

Anatoli Pirveli, da vent’anni vive con la moglie e i due figli in un minuscolo appartamento assegnato dal governo, in uno spazio talmente ristretto da obbligare lui e la moglie a dormire per terra, su un materassino, per consentire ai figli di dormire sul piccolo divano.

Lia Tolordava, costretta a lasciare la sua terra, dopo aver perso il marito in guerra, vive a Tbilisi tra enormi difficoltà. Ha cresciuto, con un sussidio statale ridicolo, i due figli, di cui uno handicappato: “Il presidente (ormai ex) Saakashvili? “Lo vorrei vedere morto!”, mi dice con rabbia, parlandomi delle sue promesse mancate.

Vasili Tabatadze vive con la moglie Loretta e il cane Patso in una zona della capitale georgiana chiamata “Tbilisi sea” in prossimità di un grande lago artificiale: “la nostra è una vita dura. Abbiamo la vista del lago di fronte a casa, almeno quella, ma un giorno torneremo a Sukhumi, e rivedremo il nostro amato mare”.

Sono stato meravigliosamente bene in Georgia. Un paese affascinante, di grande interesse storico e culturale, terra di passaggio tra occidente e oriente: Svaneti, Patrimonio Mondiale dell’Umanità, con le sue valli spettacolari dove si nascondono antichi villaggi dalle torri medioevali; le storiche terme di Tbilisi, nel cuore della città vecchia, sotto lo sguardo protettivo della statua di “Madre Georgia”, che dall’alto di una collina vigila sulla capitale; i monasteri e la splendida cattedrale dell’antica capitale Mtskheta, capitale spirituale del paese; la piccola città di Gori, luogo natale di Stalin con il museo dedicato al dittatore e la sua casa natale; la celebre “Grande Strada Militare Georgiana”, importante via di collegamento tra Europa e Asia fin dai tempi antichi, che si snoda all’ombra dei monti del Caucaso; i 5.047 metri del maestoso monte Kazbegi, su cui gli antichi greci pensavano fosse incatenato Prometeo; la splendida regione di Achara con le sue piantagioni, le colline boscose che circondano la città di Batumi, adagiata sulle coste del Mar Nero toccate, narra la leggenda, da Giasone e gli argonauti alla ricerca del vello d’oro; le succulente specialità gastronomiche accompagnate dall’ottimo vino georgiano proveniente dalle fertili terre della regione di Kakheti, dove da millenni si coltiva l’arte della viticultura.

La straripante ospitalità del popolo georgiano; centinaia di inviti e brindisi infiniti a base fortemente alcolica mi hanno scaldato l’anima. Chiedo venia al mio fegato. Le settimane trascorse in Georgia l’hanno messo a dura prova. Ma che gioia per cuore e spirito!

Tra tutte queste esperienze, sono stati gli sguardi e le toccanti storie dei rifugiati di guerra a colpirmi più nel profondo.

Benvenuti a Tbilisi, nelle case, nella vita e nei sogni dei rifugiati di una guerra di cui troppo poco si conosce: qui il reportage fotografico.


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